Per la 18. Biennale di Architettura di Venezia il Padiglione del Giappone punta i riflettori sul Padiglione stesso, opera rappresentativa dell’architetto Takamasa Yoshizaka, con la mostra intitolata Architecture, a place to be loved – Architettura, un luogo da amare.
L’esposizione, organizzata da The Japan Foundation, vede l’architetto Maki Onishi come curatore e Yuki Hyakuda come curatore aggiunto, co-direttori dello studio di architettura o+h, il designer Yuma Harada e l’editor Tomomi Tada membri del team curatoriale.
Dopo avere studiato con Wajiro Kon e collaborato con Le Corbusier, l’architetto Takamasa Yoshizaka (1917-1980) è stato attivo dal periodo della ricostruzione postbellica fino all’anno della morte. Il Padiglione Giappone, suo capolavoro, venne completato nel 1956 e da oltre cinquant’anni assolve alla funzione di base per presentare l’arte e l’architettura del Giappone alla platea internazionale.
In questa mostra, i membri del team di formazione eterogenea – architettura, tessuti, ceramica, design, editing, lavorazione dei metalli e animazione – considerano l’architettura del padiglione progettato da Yoshizaka come fulcro espositivo di varie declinazioni del tema che dà il titolo alla mostra, tema che Onishi e Hyakuda scandagliano da tempo.
Il progetto rappresenta un tentativo di ampliare le possibilità e il significato dell’architettura, realizzata inglobando la gestione del paesaggio circostante, memorie e racconti. Per questo il team curatoriale è partito dal presupposto di pensare l’architettura come una creatura vivente.
La tenda che si allunga dalla facciata dell’edificio; gli oggetti che pendono dal lucernario sul soffitto; lo spazio pilotis che funge da area di sosta in costante mutamento, secondo le condizioni del tempo; gli ‘anime’ proiettati sul muro strutturale, oltre a modelli, libri e a altri oggetti esposti realizzati in risposta al concetto e alle forme dell’edificio: sono tutti elementi raccolti da creativi di differenti estrazioni che hanno riservato uno sguardo ponderato al Padiglione Giappone.
L’invito rivolto ai visitatori è di interagire e di pensare a quale tipo di architettura costituisca un luogo da amare: si tratta di un’opportunità per ristabilire il nostro rapporto con essa.
Un luogo da amare è possibile quando l’architettura reca incisi i suoi ricordi e le sue storie, quando incarna lo scenario e le attività che si sono svolte dentro e intorno ad esso. Ciò consente all’architettura di assumere un significato più ampio e, per questo motivo, la riflessione inizia pensando all’architettura come a una creatura vivente.
Per citare Takamasa Yoshizawa, «Creare qualcosa significa dargli vita». Considerare l’architettura come una forma di vita con una propria esistenza individuale permette di amarla e nutrirla amorevolmente, abbracciandone i difetti e le inadeguatezze. Andando oltre la valutazione della funzionalità e delle prestazioni di un edificio.