Il laboratorio di meccanica dei suoli dell’Ecole Polytecnique di Losanna (Epfl) ha sviluppato una tecnica per il rinforzo dei suoli basata sull’uso di batteri e urea: una serie di reazioni chimiche porta alla rapida formazione di cristalli di calcite che legano le particelle del terreno consolidando il suolo.
Malgrado, o forse proprio a causa delle normative che scoraggiano il consumo di suolo, la necessità di stabilizzare e rinforzare i terreni da costruzione cresce. Sono frequenti infatti le iniziative che prevedono lo smantellamento di edifici preesistenti – si pensi solo alle vaste aree industriali dismesse, che implicano vasti lavori di bonifica – e la loro sostituzione con nuove destinazioni d’uso. Fondazioni e stabilità del terreno da costruzione in secondo luogo devono soddisfare requisiti stringenti in termini di normative antisismiche e di qualità del costruito, evitando che nel tempo si formino fessurazioni o peggio leggeri spostamenti che comprometterebbero la precisione di facciate ventilate o rivestimenti di tenuta all’aria e di conseguenza le prestazioni energetiche.
Le tecniche di consolidamento fin qui adottate sono spesso costose, non praticabili in cantiere o poco compatibili con l’ambiente.
Dimitrios Terzis and Lyesse Laloui, due ricercatori del laboratorio di meccanica dei suoli dell’Epfl, presentano oggi una soluzione a basso costo che prevede l’uso combinato di urea e batteri. Queste due sostanze reagiscono dando luogo a cristalli di calcite che legano con forza le particelle di terra, la ghiaia e la sabbia del terreno da costruzione. I risultati della ricerca su questi biocemento di lunga durata sono stati appena pubblicati sui Scientific Reports della rivista Nature.
Congelati per facilitarne l’uso, sul terreno i batteri di Sporosarcina pasteurii si riproducono formando un microscopico strato protettivo adesivo che agisce come elemento di incontro tra l’urea, una molecola sintetica, non tossica e altamente solubile, e il calcio, polverizzato sul suolo.
I batteri spezzano le molecole di urea, di cui si nutrono, rilasciando carbonato, che si combina con il calcio in cristalli di calcite. Questi cristalli si attaccano alle particelle del terreno, crescendo progressivamente in quantità e dimensioni.
Nel corso del processo digestivo inoltre i batteri producono un enzima che, oltre ad accelerare fino a mille volte la cristallizzazione del suolo, ha dimostrato la propria efficacia anche dopo la morte dei batteri. Per questo i ricercatori dell’Epfl hanno tentato con successo di produrre una miscela pronta all’uso del tutto priva di batteri, il che renderebbe ancora più economica e di facile uso la soluzione.
Testata su diversi tipi di suolo, la resilienza di questo biocemento – che può essere prodotto in cantiere a temperatura ambiente a basso costo e a basso consumo di energia – ha dato ottimi risultati.
Graduandone le quantità la soluzione può stabilizzare anche scarpate artificiali o suoli stressati da eventi sismici.