Una villa ad Alatri dell’architetto Danilo Lisi.
Stefano Mavilio
Nota la storia del villino, altrettanto nota quella della villa, che in realtà esiste da sempre giacché villa è quella dimora che si costruisce in villa, in vigna, in campagna (taluni ci vanno perfino in villeggiatura). Erano romane le ville di campagna, bellissime quelle imperiali – quella di Piazza Armerina per tutte, quella di Settefinestre per rimanere più vicini. Le ville palladiane e quelle degli epigoni, con un rapido salto di mille anni, erano addirittura bucoliche, perché bucolica divenne Venezia che pure fu regina dei mari. Diverso il caso della palazzina, che sciatta o di lusso che sia, mette insieme pezzi di ville e villini prima di darsi un albero genealogico coi Pediconi, i Moretti e i Ridolfi, autore – quest’ultimo – a sua volta di magnifiche ville bucoliche.
Il fronte d´ingresso (foto ©Moreno Maggi)
A che pro questo preambolo? Perché il villino dell’architetto Lisi – nella poetica più che nelle forme – è palazzina e villino ma è anche e soprattutto villa di campagna; e delle due varianti note, quella accentrata-cubica e quella decentrata-aperta (la palladiana con barchesse, per intenderci), certamente afferisce alla prima, secondo un modello divenuto alla moda nell’Ottocento. È – ancora – Architettura più che edilizia. E dei maestri di cui sopra e di altri che citerò più avanti, rammenta qualcosa, pur nella sua contemporaneità. Ci vedo perfino Loos, nell’incastro-modulazione dei volumi, in un perfetto raumplan di campagna.
Vengo ai fatti. Il villino ad Alatri, progettato e portato a compimento nel 2013, risponde ad una precisa istanza della committenza: “una casa aperta verso le montagne, ma contemporaneamente un luogo intimo e raccolto” compatibilmente e in ottemperanza alle “necessità” del luogo. Risponde a questa richiesta un edificio che copre una superficie complessiva di 170 metri quadri al piano rialzato – piano nobile diremmo noi – con ampia cucina, pranzo, soggiorno e i letti nel numero necessario.
Il progetto sviluppa primariamente il tema del rapporto pieni/vuoti, in sintesi del duale, che a sua volta si declina secondo tematiche diverse. Nei rapporti con l’ambiente: la cittadella, all’apparenza fortificata ma che si apre al paesaggio mediante un sistema complesso di aggetti (logge, balconi, sporti di tetto, alla maniera di un quadro di Mondrian); nei rapporti con l’edificio – di contro – sviluppa il tema del “pozzo”, secondo il quale lo spazio interno si struttura intorno al vuoto della scala interna, che come un attrattore – certamente non caotico – chiama a sé i diversi luoghi nei quali si articola lo spazio medesimo.
La loggia del fronte nord rivolto verso la valle (foto ©Moreno Maggi)
Dualità chiaramente avvertibile nel difficile ma risolto rapporto fra la calma del “nido familiare” – ordinato – e l’apparente disordine delle “facce” esterne – in particolare mi piace il prospetto della “zona giorno”, prospetto Ovest, disegnato non senza un rimando alla casa progettata da Luis Kahn per Margaret Esherick nel 1961 – che si presentano diverse l’una dall’altra con infiniti rimandi alla Storia. Cito a caso, non senza evidenza documentale e con chiaro riferimento alla “Scuola Romana” alla quale Lisi appartiene di diritto: Gaetano Minnucci, via Carini, nel 1928; Umberto Travaglio e Attilia Vaglieri, tre villini degli anni ‘30 al viale Aventino, due dei quali improvvidamente demoliti; Mario Marchi, palazzina Federici del 1938; e ancora: Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, in via San Valentino (1948-50); Luigi Pellegrin, in via Francesco Mengotti, anni ‘50; Mario Paniconi e Giulio Pediconi, a villa Balestra e – per chiudere una lista che si farebbe troppo lunga – Pietro Sforza, in via B. Oriani 67, negli anni ‘30.
La terrazza che immette all´ingresso principale è protetta da frangisole (foto ©Moreno Maggi)
Intendo dunque quello straordinario momento culturale nel quale le istanze storiche non erano andate smarrite del tutto, legando Tradizione e Modernità in una composizione semplice ma non corriva di volumi, insieme ad un corretto funzionamento delle piante (funzionamento, non funzionalismo) che a cavallo fra l’existenz minimo e il “gran lusso” ci consegnarono piccoli capolavori, sommariamente “giustiziati” in nome di una incompresa modernità. Su questa linea lavora Lisi, nel solco dei Maestri. E non posso che compiacermene.
Dall´alto, la zona giorno caratterizzata da grandi aperture panoramiche e la scala protetta da parapetti in vetro (foto ©Moreno Maggi).