Per tutto il secolo scorso il design aveva posto al centro della ricerca l’uomo, i suoi bisogni e i suoi desideri (e quindi l’ergonomia, il “design for all”, il rapporto armonico tra forma e funzione) ma oggi, se intendiamo continuare a vivere su questa Terra, è necessario mettere al centro del design il pianeta.
È questo il messaggio che Luisa Bocchietto, in conclusione del periodo di presidenza della WDO – World Design Organization, rivolge ai progettisti e ai designer di tutto il mondo sottoscrivendo l’impegno dell’organizzazione a promuovere i 17 obiettivi 2030 delle Nazioni unite, gli UN SDG – United Nations Sustainable Development Goals.
Il design, nato con la seconda rivoluzione industriale, si è sviluppato grazie al Bauhaus in Germania.Da quel momento ha sempre cercato di affermarsi come disciplina indipendente, in grado di trasformare le semplici merci in “prodotti”, dotati di un senso e di un linguaggio innovativo. Architetti, intellettuali e produttori hanno immaginato un obiettivo comune, lavorando intorno all’estetica industriale, valorizzando il lato umanistico del progetto all’interno della produzione meccanicistica, inseguendo l’obiettivo democratico di rendere la bellezza e il comfort accessibili al maggior numero di persone possibile. Non si trattava di un interesse di categoria quanto piuttosto di un obiettivo comune nel promuovere un’attività allora nascente: il design industriale.
I cambiamenti introdotti dall’avvento del digitale impattano oggi sul modo di produrre, di distribuire, di comunicare analogamente a quanto avvenuto nel secolo scorso. Così, anche il design cambia. Insieme alla progettazione di oggetti per la produzione industriale si lavora sempre di più con enti e istituzioni sui processi e i servizi destinati alla collettività. La metodologia industriale viene utilizzata e applicata a nuovi tipi di ricerca e progettazione. Si tratta di un approccio strategico e trasversale che coinvolge attori diversi. La parola “industriale” sfuma nel suo significato e lascia spazio a una visione più ampia di design. Se i nostalgici del periodo d’oro del design vivono questo passaggio come una perdita, prevale la necessità di confrontarsi con le sfide presenti e future. Ancora una volta è la componente utopica che guida il designer e la sua visione sociale; ancora una volta è necessario impedire che le nuove tecnologie “disumanizzino” i rapporti sociali e, come all’inizio del secolo scorso, di fronte all’incognita della produzione industriale, è necessario comprendere come arginare la potenza disgregatrice della tecnologia.
A cavallo tra approccio scientifico e umanistico, il design è oggi un fondamentale strumento di mediazione culturale nel rapporto con tutte le tematiche introdotte dallo sviluppo sfrenato che sta coinvolgendo alcune aree del pianeta. Progettisti, produttori e intellettuali sono di nuovo chiamati a un impegno sociale per sensibilizzare, attraverso il proprio lavoro, le amministrazioni politiche a cambiare direzione.
È un percorso che si fa ogni giorno più urgente perché i problemi da affrontare sono sotto gli occhi di tutti: consumo delle risorse, necessità di riciclo dei rifiuti, urbanizzazione, mobilità, inquinamento, accesso all’acqua e al cibo, equilibrio ecologico precario.
La tecnologia può individuare le soluzioni, il design può contribuire, insieme ad altri attori sociali, a renderle comprensibili, umane, eque. “Design for a better World”.