La crisi sanitaria e il lungo lockdown rischiano di provocare un aumento delle diseguaglianze sociali nel nostro Paese. Disoccupazione crescente e perdita di reddito avranno ripercussioni anche sulla condizione abitativa delle fasce deboli della popolazione, aggravando un’emergenza già molto preoccupante in numerose città italiane prima della pandemia.
Per questo, l’Istituto nazionale di architettura In/Arch lancia una proposta alle forze politiche e sociali del Paese per avviare un nuovo piano di investimenti per garantire alloggi sociali a chi ne ha bisogno varando un nuovo piano di edilizia residenziale pubblica per la rigenerazione delle città.
Secondo In/Arch l’impegno per il diritto alla casa delle fasce deboli della popolazione è componente essenziale di un nuovo welfare in grado di diminuire precarietà e povertà.
Già oggi, in Italia, 2,1 milioni di famiglie avrebbero diritto, secondo le norme vigenti, a un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ma solo 700 mila famiglie oggi vedono riconosciuto tale diritto. Dalla fine degli anni ‘80 in poi l’offerta pubblica di case economiche si è ridotta del 90%.
In Europa il 30% delle famiglie gode di un alloggio sociale, in Italia solo il 3,5 %.
Milano, via Gallarate. Intervento di edilizia residenziale pubblica. |
«Nella fase di rinascita del Paese – si legge nel comunicato – oltre ai necessari investimenti per infrastrutture, manutenzione del territorio, edilizia sanitaria e scolastica, occorrono risorse pubbliche mirate a garantire alloggi a canone sociale. Un impegno per la casa sociale che sappia anche offrire risposte ai problemi dell’accoglienza e dell’integrazione di nuovi lavoratori immigrati, spesso vittime di un disagio abitativo tra i più estremi. Un impegno che sappia infine stimolare un forte rinnovamento nei metodi e nei rapporti di produzione nel settore edilizio e un’intensa partecipazione di coloro che saranno destinati ad abitare le case che verranno predisposte.
Naturalmente oggi un piano di edilizia residenziale pubblica non può consistere nella creazione di nuovi quartieri, nuove periferie, nuovo consumo di suolo. Al contrario, deve essere un potente volano per le politiche di rigenerazione urbana, di riuso e riqualificazione dell’ingente patrimonio immobiliare pubblico e privato dismesso secondo criteri di sostenibilità ambientale e sociale e di efficienza energetica, nonché di rivitalizzazione delle aree interne del Paese e dei borghi disabitati».
Concretamente – si legge ancora nella nota – si potrebbe partire dalla rigenerazione degli oltre 55mila alloggi di edilizia residenziale pubblica attualmente vuoti (di questi uno su cinque è considerato inagibile) e dal riuso di parte del patrimonio demaniale civile e militare dismesso, a partire dalle tante caserme abbandonate da riconvertire in alloggi.
Un piano di edilizia sociale pubblica ha bisogno del contributo del mondo della produzione edilizia e della cultura architettonica. Rappresenta un’occasione per tornare a riflettere – nella nuova prospettiva della rigenerazione urbana e non più dell’espansione – sulla casa sociale, sulle nuove soluzioni tipologiche e distributive, sulla casa a basso costo, sulle tecnologie innovative, sul rapporto tra casa e città, su nuovi modelli sostenibili per l’industria delle costruzioni.
Tale impegno si rende quanto mai urgente oggi, dopo aver constatato la frequente inadeguatezza di molte abitazioni di fronte al prolungato e imposto #iorestoacasa, dopo aver sperimentato i nuovi bisogni legati allo smart working.
Milano, via Gallarate. Intervento di edilizia residenziale publica. |
In/Arch nel suo appello ricorda come nel 1949, in occasione del Piano Fanfani, le migliori menti dell’architettura italiana seppero offrire un contributo reale a un Paese in ginocchio dopo il disastro della guerra: si impegnarono in prima persona per offrire risposte al bisogno di case per i più poveri a basso costo.
«In una situazione completamente mutata e con strategie diverse – rigenerazione urbana policentrica versus espansione illimitata – In/Arch vuole promuovere una nuova riflessione su questi temi per sperimentare, innovare e offrire soluzioni ai più deboli, restituendo così un ruolo sociale all’architettura».