Cos’è un muro di confine? Quale il ruolo dell’architettura, della pianificazione del territorio e dell’ingegneria quando sono chiamate ad affrontare questioni che vengono definite di sicurezza nazionale?
Sono molte le questioni sollevate dalla mostra inaugurata il 6 novembre scorso (visitabile fino al 6 novembre del 2022) al National Building Museum di Washington ma quella fondamentale, in un tempo in cui è lecito prevedere che anche per effetto del cambiamento climatico il tema delle migrazioni diventerà centrale nell’agenda politica di molti Paesi, è se il fine dell’architettura – il benessere e la felicità delle persone – si persegua costruendo muri o abbattendoli.
Il tema è antico e irrisolto. Per definizione, i muri rappresentano la protezione (le ‘quattro mura domestiche’) ma non esiste muro capace di fermare masse di persone che hanno già perso tutto. E anche i confini mutano: sono invenzioni disegnate sulla carta, e anche quando seguono confini naturali come il corso del rio Grande mutano come il fiume, che alterna periodi di siccità a inondazioni spostandosi anno dopo anno.
In un viaggio senza precedenti – fatto di video, fotografie, oggetti, infografiche – lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, The Wall/El Muro affronta il contesto americano da un punto di vista ampio e documentato che solleva questioni etiche, emotive, di gestione del territorio e del consenso che oggi si pongono per molti confini – da Lampedusa alla Bielorussia, da Israele alla Turchia al canale della Manica.
Immersi in un ‘paesaggio sonoro’ fatto del ronzio degli insetti e degli onnipresenti droni vicino al muro a Otay Mesa, in California, i visitatori sentiranno le testimonianze dirette di adolescenti che hanno attraversato il confine, vedranno una sezione reale a grandezza naturale della recinzione di confine che una volta si trovava tra Calexico in California e Mexicali, nella Baja California messicana.
E potranno toccare l’altalena disegnata per i bambini di entrambe le nazioni premiata come Design of the Year 2020 dal Design Museum di Londra. O gli oggetti personali dei migranti abbandonati nel deserto di Sonora.
Le infografiche raccontano l’espansione del muro, il suo costo e l’impatto ambientale e sociale.
«I confini sono luoghi inventati e immaginari – dice la curatrice Sarah A. Leavitt – cambiano nel tempo e sono controllati in modo diverso nel tempo. Ciò che sta accadendo al nostro confine è importante ed era importante iniziare a raccontare questa storia. È a questo che dovrebbero servire i musei: a guidare questo genere di riflessioni».