ARCHITETTURA DELLACQUA

La progettazione del ciclo delle acque come tema di architettura e opportunità.

di Carlo Ezechieli

Pur con marcati rallentamenti che, specialmente in Europa, hanno interessato il settore dell’edilizia, il processo di cementificazione sembra manifestarsi su scala globale come virtualmente inarrestabile. La progressiva riduzione della permeabilità dei suoli connessa alla sostituzione di superfici prevalentemente verdi con aree pavimentate, non è tuttavia priva di conseguenze ambientali.

L’acqua è infatti un incredibile solvente, capace di attivare innumerevoli scambi e processi a livello biofisico che stanno alla base delle capacità di rigenerazione dell’ecosistema: la sigillatura dei suoli è una pratica che, in modo particolarmente aggressivo, interviene interrompendoli. Viene meno la funzionalità dei cosiddetti Ecosystem Services – ovvero tutti i processi di depurazione dell’aria, dell’acqua, di rigenerazione di risorse messa continuamente e gratuitamente a disposizione dall’ecosistema – che si traduce infine in nocive concentrazioni di inquinanti. 

Una ricerca condotta nel 2002 dalla Regione Metropolitana di Portland negli Stati Uniti dimostra che quando nell’ambito di un bacino idrografico le superfici non drenanti arrivano al 10%, gli ecosistemi cominciano a dare segni di degrado. A una copertura di oltre il 30% corrisponde un degrado critico, praticamente irrisolvibile.

Il decadimento degli Ecosystem Services è anche un motivo di spesa, e pertanto di impoverimento economico, dato che ottenere gli stessi risultati di depurazione e rispristino delle condizioni ambientali, o anche solo di drenaggio, attraverso impianti e sistemi tecnologici – come depuratori, filtri, accumuli e infrastrutture tecniche – è costoso sia in fase di realizzazione che di gestione. Il tutto senza contare che le moderne fognature, pur seguendo i vecchi corsi d’acqua, non sono mai in grado di gestire il runoff (il deflusso di acqua piovana dal sito) con lo stesso livello di efficienza della natura, e questo si traduce in una fondamentale perdita di resilienza – inesorabilmente all’origine di inondazioni e dissesti – di fronte ai sempre più ricorrenti eventi meteorologici estremi. 

Alcune misure e superfici che è possibile mettere in atto in superficie per limitare il runoff

1 Maggiore estensione delle superfici non pavimentate

2 Tetti verdi

3 Pavimentazioni drenanti

4 Vasche di accumulo

5 Fontane

6 Rain Garden (superfici vegetate che permettono l´accumulo di acqua, favoriscono la permeabilità dei suoli e l´evaporazione dell´acqua)

7 Piante e vegetazione

8 Aiuole drenanti

disegno ©Carlo Ezechieli

Ma cosa succederebbe se le infrastrutture di gestione delle acque reflue urbane, emulando i sistemi naturali, diventassero una risorsa anziché una responsabilità economica e ambientale? Se tutto il denaro investito in infrastrutture idrauliche nascoste nel sottosuolo fosse trasferito in superficie in un sistema differente ma che assolve ai medesimi servizi? E se questo nuovo sistema, come in passato, diventasse una vera e propria architettura, capace di rigenerare situazioni compromesse e arricchire luoghi, edifici e città non solo dal punto di vista ambientale ma anche con spazi belli e piacevoli: giardini, piazze, fontane?

Alcuni esempi che mirano ad attuare questi principi sono i progetti degli scandinavi SLA Architekten, degli olandesi De Urbanisten, ormai internazionalmente celebri con un geniale progetto di piazza/bacino di accumulo di Benthemplein a Rotterdam e le Constructed Wetlands (aree umide artificiali) dello studio italiano Iridra. Ognuna di queste esperienze è riconducibile a una modalità di intervento definita anche Low Impact Development (Lid), e gravita attorno al grande tema della gestione del ciclo delle acque. Un tema emergente, particolarmente denso di potenzialità, che nei prossimi anni non solo darà molte opportunità di progetto e di lavoro ma che può rivoluzionare, migliorandolo, il nostro modo di progettare e trasformare spazi e città.

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