Balkrishna Doshi (Pune, 1927) è il vincitore del 45° Premio Pritzker. Lo ha annunciato settimana scorsa a Chicago Tom Pritzker, presidente dell’Hyatt Foundation, sponsor del premio. La cerimonia di consegna, con una lectio di Doshi, il 16 maggio presso il museo Aga Khan di Toronto.
Architetto, urbanista e docente, per 70 anni Doshi ha dato un contributo importante al dibattito dell’architettura in India e sul piano internazionale. Influenzato da maestri del XX secolo come Le Corbusier e Louis Kahn, ne ha interpretato l’architettura traducendola in opere rispettose della cultura del proprio Paese e in grado di migliorare la qualità della vita in India. Il suo approccio etico e personale all’architettura ha toccato le vite di tutte le classi sociali attraverso una vasta gamma di tipologie fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso.
Dalla motivazione della giuria:
«Nel corso degli anni, Balkrishna Doshi ha sempre creato un´architettura seria, mai appariscente o di tendenza. Con un profondo senso di responsabilità e il desiderio di contribuire al suo Paese e al suo popolo con un´architettura autentica e di alta qualità, ha creato progetti per pubbliche amministrazioni e servizi pubblici, istituzioni educative e culturali e residenze private. Profondamente consapevole del contesto in cui opera, le sue soluzioni tengono sempre conto delle dimensioni sociale, ambientale ed economica, e quindi la sua architettura è del tutto sostenibile».
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Architetto e docente, Balkrishna Doshi – novant´anni – è il vincitore del Premio Pritzker 2018 (foto courtesy Vsf) |
«I miei lavori – ha commentato Doshi ringraziando la giuria – sono un’estensione della mia vita, filosofia e sogni, cercando di fare tesoro dello spirito dell’architettura. Devo questo premio prestigioso al mio mentore, Le Corbusier. I suoi insegnamenti mi hanno portato a interrogarmi sulla mia identità e a scoprire che il regionalismo doveva adottare un’espressione architettonica contemporanea per creare un habitat olisticamente sostenibile».
Esplorando le relazioni tra i bisogni fondamentali della vita e dell’essere umano, la cultura e le tradizioni sociali, l’architettura di Doshi ha adattato al contesto indiano le proposte del Moderno. È il progetto, secondo l’anziano professore, che «converte i rifugi in case, gli alloggi in comunità e le città in magneti di opportunità».
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Prospettiva di una via di Aranya in una miniatura di Doshi (courtesy Vsf) |
Ne è un esempio il progetto Aranya Low Cost Housing (Indore, 1989) che ospita 80mila persone di ceti sociali diversi in un sistema di più di 6.500 residenze di diverse dimensioni e qualità, cortili e un labirinto di percorsi interni. Strati sovrapposti e aree di transizione promuovono condizioni di vita fluide e adattabili, abituali nella società indiana.
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Il progetto di Aranya Low Cost Housing (Indore, 1989) che attualmente accoglie più di 80mila persone crea condizioni di vita fluide, adatte alla cultura indiana, attraverso una varietà di spazi pubblici e semi-pubblici (foto John Paniker) |
L´architettura di Doshi è sia poetica che funzionale. L´Indian Institute of Management (Bangalore, 1977-1992), ispirato alle tradizionali città e templi indiani labirintici, è organizzato come un insieme di edifici, corti e gallerie interdipendenti, con una varietà di spazi protetti dal clima caldo che consentono ai visitatori di trovarsi contemporaneamente al chiuso e all´aperto.
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Giardini interni dell’Indian Institute of Management (Bangalore, 1977-1992). Ispirato ai labirinti tipici delle città e dei templi indiani, il complesso, realizzato in più fasi, è dato da un insieme di edifici, corti, gallerie e porticati, creando ambienti che proteggono dal clima (foto corutesy Vsf) |
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Indian Institute of Management (Bangalore, 1977-1992). Vista verso la biblioteca da un porticato semi-aperto (foto courtesy Vsf) |
Il suo studio, Sangath, a Ahmedabad (1980), è un insieme di spazi aperti, tra cui un giardino e un anfiteatro, che sfociano in ambienti chiusi con coperture a volta rivestite in piccole tessere di ceramica in un insieme studiato per mitigare il caldo estremo.
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I gradoni verdi dell’anfiteatro che conduce all’ingresso di Sangath (Ahmedabad, 1980), lo studio di Doshi (foto courtesy Vsf) |
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Il masterplan di Sangath in una miniatura di Doshi (disegno courtesy Vsf) |
Mosaici ricoprono anche la forma a testuggine della copertura dello spazio d’arte ipogeo di Amdavad Ni Gufa (Ahmedabad, 1994), una galleria con opere di Maqbool Fida Husain.
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Interno dell’Amdavad Ni Gufa (Ahmedabad, 1994), galleria d’arte che grazie alla progettazione digitale, forme mobili di ferro-cemento e artigianato locale con prodotti di scarto ha assunto le sembianze di organismo vivente (foto courtesy Vsf). |
Altre opere degne di nota includono il centro accademico per la pianificazione e la tecnologia ambientale (Cept University) di Ahmedabad (1966-2012); spazi culturali come il Tagore Memorial Hall (Ahmedabad, 1967), l´Institute of Indology (Ahmedabad, 1962) e Premabhai Hall (Ahmedabad, 1976); i complessi residenziali Vidhyadhar Nagar Masterplan e Urban Design (Jaipur, 1984) e Life Insurance Corporation Housing o “Bima Nagar” (Ahmedabad, 1973); e residenza privata Kamala House (Ahmedabad, 1963), tra molti altri.







