Una pipeline gialla: viti e bulloni formano coppie di metallico nitore e di perfetta armonia funzionale, uscita – si direbb e- dalla Scuola di Ulm. é Gas Pipe, il padiglione dell´Estonia, installato nei Giardini della XI Biennale diArchitettura di Venezia (fino al 23 novembre): la provocazione piú concreta, nell´allusione a un nuovo gasdotto della Gazprom, a out there, architecture beyond building (letteralmente, lí fuori l´architettura oltre l´edificio), l´edizione 2008, curata da Aaron Betsky.
Se «è sempre più difficile ritrovare l´architettura nell´edificio, dove dobbiamo cercare? Forse negli interni, forse nei paesaggi, o forse solo nei sogni, nelle visioni e nelle idee, nella memoria o forse ancora in strani esperimenti che non dovremmo neppure poter chiamare edifici, come le installazioni site-specific?
Studio da tempo i passaggi tra arte e architettura, ma l´interrogativo rimane: si affrontano o si rimuovono i problemi delle metropoli, dello sprawl, o addrittura, degli slums? E ancora, il virtuale é un´ipotesi o una fuga? L´architettura puó permettersi di virare sul concettuale?»
All´Arsenale, l´hors-d´oeuvre é manifesto dell´intera mostra: Hall of Fragments propone due schermi semicircolari antimetrici. I frequentatori si muovono nel passaggio concavo ricavato tra i due e cosí sollecitano sensori che generano dall´altra parte, nelle due sale convesse, immagini prodotte dalle moltiplicazioni casuali di pixel tratti da film storici ovvero di fantascienza, proiettati nella versione originale su teleschermi. Seduti, si assiste ad evoluzioni di grande effetto: si formano e si dileguano a seconda dei movimenti dei passanti che a loro volta, divenuti consapevoli dell´interfaccia, magari sono imbarazzati. Se è architettura, è andata davvero “oltre l´edificio”.
Poi Gehry, Zaha Hadid e altri espongono i rispettivi brand in versione scultorea. Piú divertente Hyperhabitat, una sorta di arredamento in metacrilato. Qui, l´interfaccia è più discreta: pulsanti consentono ai frequentatori di illuminare led che rendono più brillanti – e dunque più evanescenti – tavoli, sedie, appendiabiti.
Le Corderie, rimaste garbatamente intoccate dall´allestimento e dunque presenti con il loro valore di edificio, assistono silenti agli episodi di a house to call home: ci siamo sentiti a casa nel mondo? Una domanda che avrebbe impensierito Bruce Chatwin.
Le Artiglierie guardano le interpretazioni “al limite” offerte da dodici studi di progettazione (da Centola Associati a Mad, da Nemesi a West8) sulle periferie: uneternal city, contrapposta alla Roma Interrotta (si noti il confronto tra maiuscole e minuscole) di trent´anni fa.
A seguire, gli elaborati del concorso bandito dalla Biennale sul tema della cittá diffusa, cui hanno partecipato 728 studenti provenienti da 48 Paesi. E una tale rappresentatività rende davvero il tema everyville: nella speranza – suggerisce il bando – che la virtualitàpossa aiutarci a superare gli stereotipi di villette e centri commerciali.
Ai Giardini, nel Padiglione Italia, Betsky collabora con Emiliano Gandolfi ai tre tempi della sperimentazione: Passato (anni 70 e 80), quando il pensiero dominante veniva dai futuri archistar; Presente, che si interroga in particolare sul versante dell´ecologia; Futuro, che ripone le aspettative sul mondo virtuale del video.
Allora, i disegni che già con Zaha Hadid erano una sorta di storia del progetto indipendente dalla realizzazione, lasciano lo spazio alle idee, che a loro volta lasceranno lo spazio alle immagini: verso la smaterializzazione.
Si dovrebbe cosí resuscitare l´architettura dalla tomba dell´edificio.
L´Italia alle Tese delle Vergini risponde con Francesco Garofalo sollevando una questione importante, la “riflessione critica del realizzare” nella direzione di un ambiente eco-sostenibile. Qui si incontra un video di statistiche singolarmente interessante e addirittura piacevole per grafica e immagini.
Altri, come Germania e Stati Uniti (promettente nella esposizione di una grande tenda-manifesto fotografico sulle condizioni abitative nella zona di confine tra San Diego e Tijuana) sembrano disponibili a una grande varietà di interpretazioni. Sulla stessa linea, l´Australia giunge a miniaturizzare: deve ospitare 300 modelli. Il Brasile si spinge a intitolare non-architects/interviews per lasciare la parola alla committenza.
Altri invece, come Spagna, Gran Bretagna e Francia (con un allestimento molto studiato) sembrano meno coinvolti e propongono progetti e realizzazioni nei rispettivi Paesi. Altri ancora, come per il Portogallo (in città), Souto de Moura e De Sousa sono “allarmati” e rilanciano out here (qui fuori).
Una monografica di Sverre Fehn, tra gli epigoni del Movimento Moderno, nello straordinario spazio dove il cemento armato ospita alberi, da lui stesso realizzato nel 1962 per i Paesi Scandinavi, si dichiara invece di altra linea culturale. Piú vicina alla “resistenza”, cui seguita a richiamare Vittorio Gregotti. Come il Padiglione Venezia, dove congegni meccanici aiutano a scoprire le sensibilità al costruito di Carlo Scarpa. E d´altra parte, la stessa Biennale: la strada dell´Arsenale é “Via Harald Szeemann”.