La nostra è un´epoca di profondi individualismi e prepotenze che esplodono in guerre sempre più devastanti, dove chi scatena conflitti spesso trova conveniente farlo in nome di Dio. Un´epoca – come scrive Giorgio Bocca – dominata dagli eccessi, del troppo in tutto, troppo ricchi e troppo poveri, dell´arroganza e dell´eccedenza di ego che si manifesta anche nell´architettura a danno della memoria e dell´ambiente. Che per molti architetti e critici é solo uno sfondo per imporre le proprie visioni del mondo che divengono scorie prima dei materiali con cui sono fatte. Cosí, non solo si ignora la terra che ci ospita, indifferenti a ció che lasceremo alle generazioni future ma, benché la nostra sia l´era della comunicazione globale, si continua a ignorare l´altro.
Questo progetto, scaturito nella facoltà di architettura di Napoli dell´Università Federico II – il sovrano che nel medioevo seppe assimilare la cultura islamica – nasce dal convincimento che l´architettura possa contribuire all´avvicinamento e alla conoscenza di persone di fede diversa. Facendo proprio il monito di papa Giovanni Paolo II “gettare ponti invece di elevare muri”, il progetto del tempio Islamico Cristiano a Napoli ambisce ad incontrare l´altro proprio per mezzo dei muri dello spazio della preghiera.
Nato come tema per gli studenti di secondo anno del corso 2000/01, il progetto é stato poi approfondito con tre tesi di laurea confluite nel volume La casa di Abramo, Clean edizioni, 2007.
Il paradosso dell´oblio
Si tratta di un edificio senza storia che tuttavia istituisce un evento storico con la condivisione dello stesso spazio di preghiera da utilizzare in tempi diversi per i fedeli delle religioni monoteiste.
Condizione per il consenso reciproco è l´esclusione di tutti i segni dei culti, quindi il paradosso dell´oblio, superato con l´assunzione di alcuni archetipi comuni come la stanza, il recinto e i muri che segnano le direzioni liturgiche di ciascuna religione. Le matrici del progetto, infatti, sono il muro cristiano, diretto a oriente, e il muro mussulmano orientato verso la Mecca.
Finalizzato all´incontro, il recinto con giardino riunisce spazi per le attivitá in comune, come la mensa e la biblioteca e pertinenze specifiche come le fontane per le abluzioni e il battistero, la madrasa con la casa dell´imam, la parrocchia con l´alloggio del parroco.
Il progetto di laurea di Antonio Greco, che introduce in una città predisposta all´accoglienza la speranza tangibile di poter assimilare culture differenti, ricade in una direttrice fra il porto e piazza Mercato dove già si riunisce la comunità islamica. La sala preghiera è isolata nel recinto ipogeo dove sono sistemate le pertinenze in comune e specifiche. E’ stata scelta una tecnica costruttiva governata dalla livella e dal filo a piombo che, antica e universale, é la piú appropriata per descrivere uno spazio liturgico manifestato da volumi, luce e ombre.
L´acqua che esprime la vita, il recinto che palesa l´unione, il giardino nel suo antico significato di paradiso e la luce come legame emozionale verso il divino tendono a ridare senso alla visione simbolica, dispersa dalla soppressione dei simboli, evocando l´essenza spirituale delle fedi.