La decisione unanime del Parlamento di congelare fino al 2020 i fondi del bando periferie per 96 città e aree metropolitane, a fronte dei quali numerosi impegni erano già stati assunti, coinvolgendo spesso, con effetto moltiplicatore, anche investimenti privati, preoccupa Comuni ed Enti locali e, per il suo carattere arbitrario di retroattività, ha già fatto infuriare mezza Italia.
Nei giorni scorsi in un’intervista a Repubblica il senatore a vita Renzo Piano aveva lanciato la proposta di un ‘Periferie Pride’.
Stupore e preoccupazione condivisi dal Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Secondo il suo presidente Giuseppe Cappochin «l’approvazione dell’emendamento 13.2 al ddl n. 717 testimonia e conferma la superficialità e l’improvvisazione con cui vengono affrontati dai decisori politici tutti temi di rilevanza strategica per il futuro del Paese. Anche se più volte abbiamo criticato il piano periferie, in quanto privo di organicità rispetto a un programma di interventi strutturali indispensabili per competere a livello internazionale con le città in grado di offrire qualità della vita e lavoro e quindi di attrarre investitori, l’emendamento votato nel decreto Milleproroghe è a dir poco sconcertante, in quanto azzera a posteriori, con effetti devastanti, risorse anche di cofinanziamento ed impegni già assunti».
Uno dei 96 progetti del bando periferie: città metropolitana di Bari, progetto ´periferie aperte´, riqualificazione di piazza Enrico de Nicola al quartiere Libertà |
«Letteralmente ridicole appaiono – prosegue Cappochin – le giustificazioni delle opposizioni tutte, che dopo aver contribuito con il loro voto favorevole all’unanime approvazione dell’emendamento lo criticano a posteriori, ammettendo candidamente di “non aver capito cosa stavano votando”. Al contrario la sua formulazione è chiarissima e non lascia alcun dubbio interpretativo dove afferma “l’efficacia delle convenzioni concluse sulla base di quanto disposto ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 maggio 2017 adottate ai sensi dell’art. 1, comma 141 della legge n. 232 del 2016, è differita al 2020».
«È grave poi, che nel contratto di Governo neanche un paragrafo sia dedicato al tema vitale del futuro delle città, come pure la mancanza di un’organica agenda urbana nazionale incentrata su principi chiari, unitari, olistici in grado di indirizzare e promuovere modalità di intervento strutturale non straordinarie».
«Al contrario le politiche di rigenerazione urbana in Italia continuano ad essere gravate da eccessivi pesi di natura procedurale, da conflitti di competenze e di attribuzioni tra diversi livelli di amministrazione e da diversi comparti dello Stato, da disposizioni che rendono gli interventi sulla città tendenzialmente episodici, non inseriti in una cornice normativa e di principi omogenea e di facile utilizzo e, soprattutto, nella gran parte dei casi, senza un impianto di visione strategica su tutto l’organismo urbano».
«In Italia, come testimoniato anche dal piano periferie, si prediligono programmi isolati, non coordinati e soprattutto caratterizzati da finanziamenti straordinari, saltuari ed episodici elargiti a pioggia in mille rivoli, anziché strutturali e ancorati a precisi obiettivi di rigenerazione. Questa condizione pesa assai negativamente sulla competitività internazionale delle nostre città e territori, motori della crescita e dello sviluppo economico e, spesso porta, come in questo caso, a una dispersione delle poche risorse impegnate, a causa di lungaggini burocratiche, caos normativi, contraddittorietà dei riferimenti legislativi».
«In coerenza con le linee di intervento dell’Agenda Urbana Europea – sottolinea ancora Cappochin – la rigenerazione urbana deve, al contrario, essere assunta come parte integrante di una politica ordinaria per la città e quindi come un capitolo significativo dell’Agenda Urbana Nazionale.
«Al nostro recente Congresso Nazionale i 3.000 delegati hanno sottolineato con forza l’esigenza strategica di “costruire sul costruito” e di trasformare le periferie degradate in porzioni di città policentrica mediante l’elaborazione di un “Piano d’Azione Nazionale per le città sostenibili” accompagnato a un programma decennale di finanziamento strutturale per la progettazione ed attuazione di interventi che, in forma coerente ed integrata, siano finalizzati ad accrescere la resilienza urbana e territoriale, a tutelare l’ambiente e il paesaggio, a favorire la coesione sociale e a migliorare la qualità abitativa. Un programma che anziché disperdere risorse in mille rivoli, le concentri in progetti urbani integrati, esemplari in termini di eccellenza ambientale, riproducibili in diversi contesti.Un messaggio forte quello lanciato dal Congresso che testimonia l’importanza della funzione che gli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori italiani possono assumere in momenti di significativa svolta per il Paese».
«Dopo aver trascurato per anni la dimensione umana – conclude il presidente del Cnappc – all’inizio del XXI secolo cresce l’urgenza di riportare al centro del progetto di rigenerazione urbana le persone, per le quali il desiderio generale primario è rappresentato dall’obiettivo di vivere in città sicure, sostenibili e sane».