Green deal sugli immobili, chi paga?

Cominciamo ad accorgerci che la transizione energetica non sarà una cena di gala. Il termine ‘sostenibilità’, che finora è stato usato come un fiore all’occhiello per descrivere interventi più o meno compatibili con l’ambiente, assume concretezza e tocca il portafoglio con il pacchetto di proposte ‘Fit for 55%’ all’esame della Commissione energia del Parlamento europeo il prossimo 9 febbraio.

La direttiva, attualmente in discussione, prevede che gli edifici residenziali esistenti raggiungano almeno la classe energetica. E entro il 2030 e la classe energetica D entro il 2033, con l’obiettivo finale di diventare ad emissioni zero entro il 2050. Tutto bene per l’ambiente, un po’ meno per il patrimonio immobiliare esistente, destinato a uscire dal mercato: chi, dopo il 2030, vorrà mai acquistare uno dei 9 milioni di edifici residenziali italiani che ad oggi secondo l’Ance non sono in grado di garantire le performance energetiche richieste?

Da più parti si fa notare come i tempi siano troppo stretti, anche se lo scioglimento dei ghiacciai alpini prosegue inesorabile e in pianura padana, dove si concentra la produzione agricola nazionale, la siccità avanza.

Associazioni di categoria invocano l’istituzionalizzazione del Superbonus 110%, (ovvero il “pranzo gratis”) che ha già generato – prima ancora dell’aggressione russa all’Ucraina e della conseguente crisi energetica – scarsità di mezzi e materiali edili, incremento di costi, dequalificazione del mercato edile e la valuta parallela dei crediti fiscali.

Probabilmente i 4.000 lobbisti che vivono a Bruxelles riusciranno a cambiare un po’ le cose e dilatare i tempi ma la questione di fondo rimane. Chi paga?

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