Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale di Fundamentals alla Corea. Meglio: alla penisola di Corea, vista anche attraverso l’obiettivo di Alessandro Belgiojoso, che insieme al team curatoriale documenta il percorso singolare, forzatamente divergente ma inevitabilmente ri-confluente, di una separazione che sopravvive anacronisticamente alla globalizzazione.
Prima della quale, a caratterizzare la seconda metà di quei cent’anni che Absorbing Modernity vuole ripercorrere, vi fu la polarizzazione della Guerra Fredda.
Se in genere la vista a volo d’uccello offre una prospettiva universalizzante che non entra troppo nel dettaglio, all’occhio di un corvo, che è il titolo scelto dal curatore Minsuk Cho per la mostra coreana, ispirandosi a un poema dell’architetto-poeta Yi Sang (1910-1937) risulta impossibile cogliere una visione d’insieme non solo dell’architettura della penisola ma dell’idea stessa di architettura.
I contributi documentano così una serie di episodi dove tutto si tiene, lo sviluppo informale e quello rigidamente pianificato, la monumentalità e lo squat, l’individuale e il collettivo.
Ma sono sempre episodi con una medesima origine culturale, il passato di un’entità che fino al 1949 ha condiviso più di mille anni di storia e di vita in comune.
Un’anomalia forzata da cui può forse nascere una narrazione alternativa dell’architettura ai tempi della (altrettanto forzata) uniformità globale?
foto di Andrea Avezzù, courtesy la Biennale di Venezia