Con Innesti, Cino Zucchi propone al Padiglione Italia della Biennale di Architettura una rilettura della nostra migliore architettura osservandone la carica trasformativa al confronto con le strutture urbane preesistenti.
Secondo il curatore del Padiglione Italia “il pensiero contemporaneo persegue nuovi fini e valori attraverso una metamorfosi delle strutture esistenti” e soprattutto in questo consiste l’anomala modernità della cultura progettuale italiana: la sua “capacità di innovare e al contempo di interpretare gli strati precedenti. Non adattamenti formali a posteriori del nuovo rispetto all’esistente, ma piuttosto innesti capaci di agire con efficacia e sensibilità in contesti urbani stratificati”, dove il nuovo intervento è solo un nuovo strato che si aggiunge ai precedenti. Se il contestualismo interpreta l’esistente come un limite cui cerca di adattarsi, l’architettura italiana – in particolare quella dell’ultimo secolo – considera il luogo e i suoi caratteri come un materiale vivo da trasformare.
innèsto s. m. [der. di innestare]. – Operazione con cui si fa concrescere sopra una pianta una parte di un altro vegetale della stessa specie o di specie differenti, al fine di formare un nuovo individuo più pregiato o più produttivo o più giovane (Treccani). |
Schema generale del progetto di allestimento, © CZA
Il moderno funzionale diventa così, come illustrano gli esempi in mostra, una gemma innestata negli interstizi dell’ambiente costruito. “L’Italia di quest’ultimo secolo – conclude Zucchi – ha perseguito momenti di grande innovazione tecnica e formale, affrontandoli spesso con la coscienza della responsabilità che ne derivava. Il passato non è quindi solo un valore da conservare, ma anche un elemento vivo che costituisce lo sfondo della nostra vita quotidiana insieme ai nuovi ambienti che ogni giorno costruiamo e trasformiamo per rispondere a nuovi bisogni”.
Schizzo del Portale, © CZA
Accolti dall’arcuato portale di ingresso in metallo che Cino Zucchi stesso ha disegnato per “innestarlo” sulla facciata delle Tese delle Vergini e oltrepassata una sezione introduttiva che con testi e immagini ricostruisce la storica attitudine dell’architettura italiana al confronto/dialogo con la complessità preesistente, i visitatori possono approfondire diversi episodi che in cent’anni hanno fatto di Milano, più di altre città, il “laboratorio del moderno”, una città cresciuta più per occasioni che per una pianificazione di lungo termine.
Schizzo dell’installazione “Un giardino ospitale”, © CZA
Ai progetti contemporanei, integrati in contesti diversi e presentati come collage prismatici di immagini e retroproiezioni, a rappresentare la diversità e la frammentazione delle condizioni urbane e del paesaggio nel nostro Paese, è dedicata la seconda sala. Qui trova spazio e rappresentazione anche la riflessione, l’ironia e la provocazione che rinnovano, fecondandolo di nuove idee, il dibattito sulla professione, sui mezzi e sul rapporto tra passato e contemporaneità. Sempre nella seconda sala Studio Azzurro compone il grande mosaico di Paesaggi Abitati: i brevi video del contributo collettivo con cui gli italiani hanno risposto all’open call lanciato al momento della presentazione del programma della manifestazione documentando la vita quotidiana negli spazi pubblici materia dell’architettura.
Come la “modernità italiana” sia letta da importanti architetti stranieri che hanno avuto modo di conoscere il nostro Paese ce lo diranno le brevi riflessioni di Cartoline dal mondo, all’uscita verso il Giardino delle Vergini, dove una grande panca di metallo disegnata da Cino Zucchi si snoda tra gli alberi delimitando spazi di sosta e di dibattito. Infine, poiché Milano è Expo 2015, nel Padiglione saranno esposti il masterplan e i progetti dei cluster tematici, ma soprattutto EXPOST 2040, dove una serie di giovani studi di architettura immagina differenti scenari urbani per il dopo Expo, prefigurandone la metamorfosi.
Non è vero che uno stabile sia tanto più bello quanto più metri misuri di altezza, dalla “Domenica del Corriere” del 2 ottobre 1955, © CZA