Peter Zunthor, intervista

Anni fa, dopo la pubblicazione di progetti come la Cappella di Sumvtig e i padiglioni degli scavi romani a Coira, tra i primi lavori di Peter Zumthor acclamati a livello internazionale, ebbi la fortuna di assistere a una sua conferenza. Il contesto, notevole, era una chiesta sconsacrata di una cittadina nelle Alpi lombarde, e la presentazione, oltre alle bellissime architetture, era un´incredibile combinazione tra innovazione e tradizione, tra ordine e libertá, arricchita da numerosi riferimenti all´esperienza personale e al lato ?artigianale? dell´architettura. Ora, dopo quasi vent´anni e numerosi premi, tra questi il Pritzker, il piú prestigioso, Peter Zumthor non é cambiato, né nell´approccio né nello spirito, anche se ancora piú grande é la sua capacitá di uscire dagli schemi e di tradurre sogni in opere concrete. Nella conferenza che si é tenuta lo scorso aprile presso l´Accademia di Architettura di Mendrisio, dopo l´ottima introduzione di Valentin Bearth, Zumthor ha sviluppato un lungo e coinvolgente racconto. Tre sole opere, tutte in corso di progettazione, minuziosamente descritte nel loro processo di composizione, che lasciano emergere un approccio inedito, dove studi e schemi concettuali, rappresentati con tecniche tipicamente artistiche, diventano uno strumento fondamentale di esplorazione e conoscenza. Ed é in questa occasione che, grazie al coordinamento di Amanda Prada del Servizio Comunicazione e Conferenze dell´Accademia, abbiamo avuto occasione di intervistarlo.

Peter Zumthor, come descriverebbe il suo lavoro?

Passione, atmosfera, piacere di fare, piacere di avere dei sogni e di trasferirli in realtá. Di iniziare un progetto dove non c´é niente e di dare forma a un´idea. Comprendere e pensare al luogo e alla sua storia, che é fatta di tracce e di stratificazioni. E circa il luogo, credo sia una sorta di contenitore di storia e comprenderlo a fondo é un processo che non sempre dipende dall´intelletto.

Pensando alla storia, alle stratificazioni e alla tradizione, quanto di questo si riversa nel suo lavoro?

La tradizione é un riferimento importante, ma in genere prendo riferimenti che di volta in volta sono piú utili rispetto al mio obiettivo.

Ha parlato di passione, atmosfera, parole che forse trovano un legame con le sue numerose opere a forte connotazione simbolica: dalla cappella di Sumvitg, o al memoriale in Norvegia, attualmente in corso di realizzazione. Vorrei saperne di piú sul suo approccio verso questi temi.

Lavoro con la materia e con presenze fisiche e, un aspetto per me fondamentale é quando la materia diventa di piú di quello che é, fino a trascendere la propria materialitá. Credo sia un aspetto che accomuna tutti gli oggetti d´arte e alcuni di questi, alcuni dipinti, perfino alcune persone, riescono a trascendere la propria materialitá fino ad acquisire un´aura.

Quali sono le sue influenze principali

Crescere in una casa dove era possibile fare tutto a mano, principalmente con mio padre. Il bello é che quando avevo trent´anni di questo assolutamente non mi rendevo conto. Solo ora capisco quanto sia stato importante per me. Un´altra esperienza fondamentale é stata la frequentazione al corso di preparazione universitaria a Basilea, intorno al 1965. Tra i docenti c´erano molti allievi del Bauhaus. Il loro slogan sia all´inizio sia durante il corso era ?niente a che fare con l´arte?. Al momento l´ho odiato con tutte le mie forze ma in realtá, attraverso un cammino che ai tempi trovavo noiosissimo, mi ha dato una struttura e mi ha insegnato a vedere. Anche in questo caso, solo a posteriori ho capito quanto sia stato fondamentale per la mia formazione.

Come si sviluppa il suo lavoro? Segue un metodo preciso?

Ho un metodo che ho sviluppato in piú di 30 anni di lavoro e che ha molto a che fare con la comprensione di ció che sta intorno e l´ho trasmesso durante la mia esperienza di insegnamento, piú che decennale, qui all´Accademia. Credo poi sia fondamentale conoscere se stessi. Per un architetto é importantissimo invecchiare maturando e mettendo a frutto un´esperienza che inevitabilmente si forma in un lungo arco di tempo. Le cose da sapere sono infinite e l´inizio della carriera di un architetto é sempre contraddistinto dal non sapere niente. Piú si va avanti piú si é consapevoli del valore dell´esperienza. A questo punto della mia maturazione, sono diventato molto bravo nel guidare i ragionamenti, nel segnalare cosa non fare, nell´identificare i percorsi che non portano da nessuna parte e ad abbandonarli prima di perdere tempo ed energie, ad indicare una giusta sequenza di azioni e ragionamenti. In fin dei conti credo che nel mio atelier, il mio ruolo sia essenzialmente quello di formulare le domande giuste e di farlo in modo corretto.

Per concludere: un consiglio per architetti alle prime armi

Seguire un talento?Seguirlo e svilupparlo senza avere fretta di adattarsi a situazioni contingenti.

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