LARCHITETTURA CHE SERVE IN TEMPO DI GUERRA

Più di trecento persone, in gran parte studenti e giovani architetti di tutto il mondo, hanno seguito il panel dal titolo Reporting from the front: sustainibility vs. security? organizzato da LafargeHolcim Foundation in collaborazione con la Biennale di Venezia venerdì scorso, due giorni prima della chiusura della 15a Biennale internazionale di architettura, al teatro Piccolo Arsenale di Venezia.

A confrontarsi sulle relazioni tra sostenibilità e sicurezza, e sui limiti che possono derivare da un discorso di architettura attento alla compatibilità ambientale ma distratto rispetto ai problemi che la crescente instabilità geopolitica solleva a livello globale sono stati il curatore di Reporting from the front Alejandro Aravena, Jonathan Ledgard dell’Epfl, l’architetto dello Sri Lanka Milinda Pathiraja e Robert Mardini, direttore della Croce Rossa per il Medio Oriente.

Moderato da Rolf Soiron, presidente della Fondazione Lafarge Holcim for sustainable construction, il dibattito ha approfondito le interazioni tra sostenibilità e sicurezza e i modi in cui l’architettura deve saper rispondere alle sfide contemporanee.

Aravena ha posto l’accento sulla necessità di curare più l’aspetto del coordinamento che quello della costruzione vera e propria e ha chiarito il suo punto di vista affermando che la sostenibilità è economica e sociale oltre che ambientale e «richiede un approccio inclusivo per affrontare le sfide che si determinano nel tempo e nei differenti contesti. Il ruolo dell´architetto è quello di convogliare forze diverse per raggiungere l´obiettivo comune della sostenibilità».

Robert Mardini ha ricordato come i conflitti presenti in molte parti del mondo determinino forti pressioni sugli insediamenti urbani e che ciò, di fatto, mina la capacità di una comunità di concentrarsi sulle priorità di pianificazione a lungo termine e sulle esigenze legate alla sostenibilità. Concludendo il suo primo intervento con un interrogativo: «Come possono le persone preoccuparsi della sostenibilità, se non hanno neppure la certezza di accedere a servizi di base come acqua, cibo e servizi igienici?».

Jonathan Ledgard, già corrispondente dell’Economist e direttore di The Future Africa Initiative all´Istituto federale svizzero di tecnologia di Losanna (Epfl), ha illustrato l’importanza dei droneport, infrastrutture leggere ideate in collaborazione con la Norman Foster Foundation, e affermato che le soluzioni tecnologiche utili a rendere concreta la connettività oggi esistono anche in contesti privi di infrastrutture: «Nei prossimi 10-15 anni la maggior parte dei paesi dell’area equatoriale disporrà di droneport, anche in relazione al loro costo accessibile».

Una tecnologia che può aiutare le persone a vivere nei territori dove sono nate, diminuendo la pressione urbana e moderando i conflitti generati dall’incontro/scontro di approcci culturali e religiosi diversi.

Secondo Milinda Pathiraja (studio Robust Architecture Workshop, suo uno degli 88 progetti presenti al Padiglione Centrale di questa Biennale) «progettare in modo sostenibile non è una scelta, ma un obbligo». Milinda ha descritto l’esperienza del suo laboratorio di architettura a Colombo in Sri Lanka, un luogo dove si indaga come l’architettura possa agire da catalizzatore per una società uscita da vent’anni di guerra civile citando ad esempio la riqualificazione di una biblioteca, un’opera che ha vinto il Silver Award LafargeHolcim del 2015.

Inevitabilmente, le reali condizioni di vita delle popolazioni dipendono in primo luogo dalla politica, ma allo stesso tempo crescono le situazioni nelle quali non solo i politici sono incapaci ma del tutto assenti. Dove le guerre hanno distrutto anche gli eserciti, le polizie e la pubblica amministrazione le soluzioni nascono spesso da progetti sviluppati insieme alle comunità, per i quali l’architetto deve svolgere quel ruolo di coordinamento auspicato da Aravena.

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