Architettura come fenomeno urbano

Il 4 luglio scorso é mancato Carlo Aymonino. Il suo pensiero e la sua opera hanno contribuito in modo fondamentale al dibattito e al costituirsi del profilo dell´architettura italiana del dopoguerra. Architetto formato nella scuola di Roma, inizia la sua attivitá con Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni partecipando al progetto per il Quartiere Tiburtino III a Roma (1950), con la palazzina La Tartaruga con Ludovico Quaroni (1951) e, di seguito, la realizzazione del quartiere Spine Bianche a Matera (1954). E´ decisiva per Aymonino la stagione di studi e ricerche allo IUAV, avviata nella Scuola in cui Giuseppe Samoná aveva riunito, negli anni, alcuni tra i piú significativi protagonisti della rinascita dell´architettura italiana: maestri e allievi, due generazioni che hanno fissato i cardini teorici e operativi di una pratica del progetto di architettura che puó dirsi fondativa per le successive esperienze europee degli anni Settanta e Novanta.

Tra il 1963 e il ´66, insieme ad Aldo Rossi e a un gruppo di piú giovani collaboratori, elabora nel Corso di caratteri distributivi degli edifici l´ossatura portante della sua teoria, lavorando intorno al rapporto tra morfologia urbana e tipologia edilizia, ovvero sul nesso tra architettura e forma urbana, nella sua formazione storica e de-formazione in “fenomeno urbano”, affrontando in termini innovativi il tema della crescita urbana e, con riferimento al dibattito sui centri direzionali, della nuova dimensione. Parallelamente, Aymonino si occupa approfonditamente della tipologia della residenza, per riprendere sul piano disciplinare la riflessione engelsiana sulla “questione delle abitazioni”. Due progetti di questi anni possono essere considerati sperimentali e paradigmatici: il progetto di concorso per la ricostruzione del Teatro Paganini a Parma (1966) e la realizzazione del complesso Monte Amiata al Gallaratese, a Milano (1967-74).

Il nesso tra pratica teorica e progettuale é costante e informa l´attivitá didattica e professionale di Carlo Aymonino, fondendosi in un insieme coerente, problematico e sperimentale. Nello sviluppo della sua attività all’Università IUAV, di cui sará rettore tra il ´74 e ´79, emergerá in modo chiaro l´intensitá di questo atteggiamento, ben descritto da Nino Dardi nel tracciare la vicenda del Gruppo Architettura, fondato da Aymonino insieme allo stesso Dardi, Semerani, Polesello, Canella e ad altri piú giovani: Carlo Aymonino ci propose delle norme elementari di comportamento: preparare una lezione scritta, ove venivano esposte le proprie tesi, leggerla a lezione ai colleghi e agli studenti, e aprire su questa una discussione: pensare, scrivere, dattiloscrivere, ciclostilare, diffondere, leggere, dibattere. Rileggendo i testi di quegli anni, un´inequivocabile vocazione e una prioritaria opzione balza immediatamente evidente: a favore di una costruzione logica serrata, di una disciplina metodologica assai ampia, di una vocazione a costruire leggi, a ricercare norme, ad affermare principi.

Questi antefatti e i successivi sviluppi, gli studi sulla cittá di Padova e sulle cittá capitali del XIX secolo, confluiranno nella pregnante sintesi offerta in Lo studio dei fenomeni urbani, pubblicato nel 1977, e in altri importanti testi, contributi sistematici rivolti alla messa a punto del nesso fondamentale tra architettura e cittá. Strettamente intrecciata alla sua attivitá di architetto e studioso, va citata la militanza di Aymonino nel Partito Comunista Italiano che é anche da considerarsi come importante chiave di lettura del suo pensiero e del suo operare come intellettuale “organico”. In particolare, nel giro di boa della fine degli anni Sessanta, il tentativo di fondare una scienza urbana corrispondeva a un´istanza etico-ideologica in cui “scienza” corrispondeva alla ricerca della “veritá” tra gli opposti atteggiamenti della cultura del “sistema” e della dissoluzione della ricerca disciplinare nella politica. La scienza urbana, e ne é esempio concreto lo studio sulla cittá di Padova, non é intesa come la fissazione di metodiche analitiche da cui le opzioni progettuali derivino in sequenza deduttiva, ma come costruzione di una teoria della cittá e dell´architettura come inevitabili orizzonti di riferimento per il progetto, che rispetto ad essi articola la sua costituzione formale in termini di relativa autonomia. Termine e metro di giudizio della validitá dell´apparato conoscitivo rimane sempre, per Aymonino, il progetto: “il giudizio finale o il risultato conclusivo spettano sempre ai progetti e alle realizzazioni di architettura, che possono confermare o negare le ipotesi iniziali”, scrive in Architettura come fenomeno urbano (1969).

Il nesso tra architettura e cittá viene sperimentato in una ricerca paziente che emerge dalle sue opere: architetture civili in cui é evidente l´obiettivo di costruire frammenti di cittá pubblica, con i progetti degli anni Settanta per le universitá di Firenze e delle Calabrie, concorsi che costituiscono un importante banco di prova per le piú significative posizioni espresse dalla cultura architettonica italiana di quegli anni, quindi edifici pubblici: i palazzi di giustizia di Brindisi (1961) e di Ferrara (1977), i progetti e le opere realizzate a Pesaro, di cui ricordiamo in particolare il campus scolastico del 1971 e il centro direzionale Benelli del 1981.

I numerosi progetti e le opere degli anni Ottanta coincidono con l´impegno di Aymonino, tra l´81 e l´85, come assessore per gli Interventi sul Centro Storico del Comune di Roma istituito dalla Giunta Argan, occasione irripetibile in cui ancora una volta Aymonino pone al centro l´architettura come motore della valorizzazione della cittá capitale. Prende sempre piú corpo, nel caso del progetto per il centro storico di Roma, l´approfondimento sul delicato equilibrio tra vecchio e nuovo, dove la definizione della nuova architettura avviene a valle di concrete condizioni di necessitá, supportata da una conoscenza profonda dei fatti urbani che sola puó informare modalitá coerenti per “costruire sul costruito”. Aymonino aggiunge quindi un ulteriore tassello alla riflessione da anni avviata sulla cittá contemporanea e sul nesso centro-periferia, dialettica necessaria in cui si iscrive il ruolo dell´architettura nella sua capacitá di riscatto delle condizioni di degrado fisico e come motore della ricostituzione di un´identitá civile.

L´opera di Carlo Aymonino, felice, coerente e coraggiosa fusione di talento e impegno intellettuale e politico, descrive compiutamente e in modo paradigmatico un percorso forse irripetibile e si pone come termine di paragone per una sempre piú necessaria riflessione sulle odierne “difficoltá politiche dell´architettura italiana”.

*Docente di Composizione architettonica e urbana al Politecnico di Milano

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