Dal 18 maggio al 12 giugno 2022 Triennale Milano e Memphis Milano mettono in mostra Memphis Again, esposizione diretta e curata da Christoph Radl che presenta oltre duecento tra mobili e oggetti realizzati tra il 1981 e il 1986 per la collezione Memphis da Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, George J. Sowden, Martine Bedin, Andrea Branzi, Shiro Kuramata, Marco Zanini, Matteo Thun, Peter Shire, Aldo Cibic, Nathalie Du Pasquier, Gerard Taylor, Masanori Umeda.
Lungo gli oltre 100 metri della Curva di Triennale gli oggetti sono presentati in ordine cronologico, in un’atmosfera da night club suggerita dall’allestimento e dalla colonna sonora di Seth Troxler. Alle pareti sono proiettate frasi di protagonisti, critici, architetti e designer.
La mostra intende riproporre l’attenzione sulle possibilità espressive e culturali di un design oltre il marketing. Normalmente immaginato per risolvere problemi funzionali, il design di Memphis sottolineava invece l’aspetto psicologico ed emotivo della questione.
Ogni designer era libero di disegnare quello che voleva, senza alcuna restrizione. Più tardi, quando poi da necessità culturale divenne, come previsto, “progetti e prototipi”, nacque la società per distribuire e vendere i prodotti. Con Ettore Sottsass come riferimento del gruppo e la direzione artistica di Barbara Radice, la prima collezione venne presentata al Salone del Mobile del 1981.
In quell’anno Barbara Radice spiegava che: «Memphis non nega l’utopia funzionale ma guarda alla funzionalità con occhio molto aperto, più da antropologo che da uomo di marketing. Funzionalità quindi non solo nel rispetto di alcune norme ergonomiche o delle statistiche di vendibilità ma anche nel rispetto della visione di una necessità pubblica, di una spinta storica».
Ed Ettore Sottsass: «Mi sarebbe piaciuto riuscire a proporre una specie di iconografia della non-cultura, di una cultura di nessuno (non di una cultura dell’anonimo), ma l’iconografia di una cultura non usata e non usabile, non perché non c’è, neanche perché non si usa, ma perché non si guarda, perché non si prende in considerazione, perché non c’entra, perché sembra non esistere nella cultura che si sa, e forse addirittura non produce cultura. Queste zone della non-cultura, della ‘cultura di nessuno’, ci sono».