QUEL PEZZO DI PLASTICA BIANCA

Da oggi al 18 giugno il Vitra Design Museum dedica una mostra al Monoblocco, quella seduta presente in ogni parte del mondo, dai bar sotto casa ai villaggi dell’Africa equatoriale ai ristoranti asiatici, la cui ubiquità ben rappresenta la complessità della cultura materiale del nostro tempo.

Risultato infine raggiunto del sogno di ogni designer industriale, quello di ottenere una sedia da un unico pezzo di materiale, la monoblocco, facilmente accessibile da chiunque, può essere considerata da un lato un caso di design democratico ma dall’altro è l’esempio di una cultura del consumo di massa uniforme e insostenibile, indifferente ai luoghi e basata sull’estrazione e la trasformazione del petrolio.

Pubblicità degli anni Sessanta: Leporello per la Bofinger Chair di Helmut Bätzner (© Bofinger Production, Andreas Baresel-Bofinger, Heilbronn)

 

Per coloro che come noi evitano i locali provvisti di sedie monoblocco è però interessante sapere che dopo lunghi anni di tentativi – con il metallo o il legno curvato – i primi esempi di produzione industriale di sedute in un solo pezzo stampato o pressato sono la Panton Chair (1958-68) di Verner Panton, la Bofinger Chair (1964-68) dell’architetto tedesco Helmut Bätzner e la Selene (1961-68) di Vico Magistretti.

la monoblocco Selene di Vico Magistretti (1961-1968)

 

Solo dopo l’ottimizzazione del processo di produzione sviluppata in Francia da Henry Massonet nel 1972, che riuscì a ridurre a meno di due minuti l’intero ciclo produttivo, la monoblocco è diventata quel prodotto di massa e spesso di scadente qualità che ha invaso il mondo.

La Panton chair di Verner Panton (1956-1968), foto ©Jürgen Hans

 

In mostra anche gli esperimenti recenti sul tema dei fratelli Campana (2006), Martí Guixé (2009) e la Monothrone, esemplare disegnato per questa occasione da Martino Gamper.

 

Monobloc – a chair for the world

 

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