I segreti della perfezione

La costruzione del Duvetica Store di Milano e il restauro di Punta delle Dogana di Tadao Ando nel racconto di due protagonisti, Eugenio Tranquilli e Luigi Cocco. Due ingegneri che – a partire dal progetto della sede di Fabrica – si sono occupati, con incredibile maestria, dello sviluppo e del coordinamento della maggior parte dei lavori di Tadao Ando in Italia. L’evento di apertura dello Store Duvetica a Milano, progettato da Tadao Ando e realizzato con la loro collaborazione, è stata un’occasione non solo per ammirare un’opera che si distingue per perfezione e cura dei dettagli, ma anche per conoscere, attraverso la loro testimonianza, qual è la storia e i particolari di queste realizzazioni.

Ingegner Tranquilli, quali sono le peculiarità principali del lavoro con Tadao Ando?

Eugenio Tranquilli Lavoriamo con Ando dal 1992, ormai da vent’anni. Una delle caratteristiche principali del suo lavoro, come noto, è l’essenzialità del cemento faccia a vista. Ando dice che il muro rompe lo spazio, impedisce e ostacola, altera un ordine precedente, e pertanto deve essere ben eseguito. Ando è un giapponese, una cultura. Ando è una cultura ancor oggi molto influenzata dall’etica e dai codici samurai, e questo in architettura si converte in onestà costruttiva e coerenza assoluta. Alla fine Ando non ha fatto altro che riprendere una tecnica di costruzione del tutto comune – con i tipici pannelli di casseratura 180×90, la misura del tatami – riordinandola e portandola alla perfezione. E tutto questo segue la cultura dello tsubo: un’unità di misurazione delle superfici che corrisponde a due tatami. La sua architettura è fatta di multipli di tatami.

Realizzare opere in cemento faccia a vista in Italia non è sempre facile, è una tecnica nota e comune ma l’esecuzione è generalmente povera. Come gestite queste lavorazioni?

Luigi Cocco Normalmente utilizziamo casseri a travi della Peri con pannelli di rivestimento in legno di betulla, specifici per il cemento faccia a vista, anche se purtroppo è ormai impossibile trovare casseri di betulla ben fatti. Quelli che si trovano normalmente provengono dalle foreste di Finlandia o Russia e si imbevono parecchio, peggiorando il risultato finale. Il tema della qualità dei manti in legno dei casseri è cruciale e nel caso specifico vanno scelti uno per uno, scartando i peggiori, che purtroppo sono sempre più frequenti. Li controlliamo uno per uno sia visivamente che con strumenti. Il sistema di cassaforma che utilizziamo normalmente si chiama “Vario GT24” ed è un sistema binato di travi in legno reticolari (dipinte di giallo) collegate a profili in ferro. Il pannello di rivestimento si compone di due manti: uno di supporto e l’altro a contatto con il getto. Prima di eseguire il getto vanno disegnati i prospetti, interni ed esterni, con la posizione di tutti i fori dovuti alle barre dywidag. Ovviamente la precisione del montaggio è fondamentale. Un altro aspetto che va affrontato con la massima cura è quello del timing, dato che questo influisce pesantemente sulla qualità finale del cemento. A Punta della Dogana, ad esempio, mantenere la qualità del cemento era senz’altro un problema.

 

La maquette e i disegni di progetto illustrano gli interventi puntuali (nuovi setti, scale, percorsi, spazi di servizio) inseriti senza mediazioni nè mimetismi nell´antico corpo di fabbrica della dogana veneziana. 

 

Rilievo materico con inserimento dei nuovi interventi in corrispondenza della corte centrale.

 

Come siete riusciti a controllare il risultato?

L.C. Obbligando il cementista a seguire una certa granulometria, inerti lavati, la betoniera deve essere completamente lavata e mantenere basso il contenuto d’acqua. A Punta della Dogana i getti andavano eseguiti verso le 7 di sera o alle 4 del mattino. Tre betoniere partivano da terra e impiegavano due ore di navigazione per arrivare sul sito. Abbiamo organizzato il tutto in modo tale che – pur attraversando il Canale della Giudecca, trafficatissimo e a rischio di soste fortuite – un tecnico poteva additivare il cemento in caso di soste prolungate. Il getto potrebbe peraltro variare notevolmente cambiando il tipo di inerte, qualora non ci sia la certezza che la ghiaia e i vari componenti provengano tutti dallo stesso luogo. Ed è così che prima di ogni lavoro di Ando chiediamo al betonista di immagazzinare tutti i materiali necessari. Ciononostante le variazioni sono sempre possibili e il colore del calcestruzzo spesso dipende anche da umidità, calore eccetera.

Quali sono le difficoltà principali che avete incontrato?

E.T. Sempre a Punta della Dogana una difficoltà era rappresentata dalle onde presenti in laguna. Con uno sbraccio della pompa di 27 metri, un’onda di 50 cm fa ruotare la pompa di 4 metri. Ed è anche per questo motivo che i getti venivano eseguiti di mattina presto con un’onda minima. A Milano invece non c’era la possibilità di trovare mezzi adeguati, tanto che li abbiamo fatti arrivare apposta da Treviso.

L.C. E poi la qualità della vibrazione del cemento. Nei muri di Ando servono almeno due punti di getto e più punti di vibrazione e il vibratore deve essere sempre in immersione, va spento e poi estratto, viceversa fa schizzare gocce sulle casseforme che rimangono visibili una volta scasserato il getto.

Come fa Ando a mantenere sotto controllo la qualità delle opere, per di più all’estero?

E.T. Sul cemento Ando ha un libretto di caratteristiche prestazionali rigidissime con tolleranze pressoché nulle. Anche se c’è una cosa molto curiosa: è vero che siamo diventati molto bravi, ma talvolta qualche piccola imperfezione c’è e Ando non vuole che vengano corrette. Secondo lui il cemento deve essere realizzato in opera, deve essere un concentrato delle risorse e il risultato del lavoro degli uomini del posto e siccome gli uomini non sono perfetti, anche se un muro non è perfetto va bene.

Pianta del piano terra del Duvetica Store di Milano.

 

Come lavorate con Ando?

E.T. Ando fa disegni in scala 1:200 che sappiamo come portare a livello di dettaglio. In fase di sviluppo del progetto il suo capoprogetto ci fa visita ogni 2 o 3 mesi. Tra l’altro, sfruttando la differenza di fuso orario, possiamo inviare ogni sera allo studio di Osaka le foto di cantiere che vengono viste il mattino seguente. Tutti i disegni vengono trasmessi e revisionati personalmente da Ando. L’opera realizzata viene certificata in modo rigorosissimo. Per il progetto di Milano ad esempio, il capo progetto Kazuya Okano è venuto a Milano qualche giorno prima dell’inaugurazione per verificare e certificare la qualità finale dell’opera. Tadao Ando negli anni ha capito che può fidarsi di noi e, pur con tutte le differenze di etichetta dovute anche alla cultura, considero Ando un amico e credo che il suo sia un modo meraviglioso di lavorare. È molto bravo, ispirato, il suo atteggiamento è esattamente il contrario di quello di una star, ama il suo lavoro e ama chi lavora per lui. E senza dubbio è un personaggio di una durezza incredibile. In studio non hanno telefono né email personale. Tutti, indipendentemente dalla gerarchia, lavorano su tavolini 60×40 centimetri e fino alle 9-10 di sera, compreso il sabato. La domenica è libera, ma solo per approfondire opere di architettura. Ma ripeto, è un gran bel modo di lavorare, che dà molte soddisfazioni.

Quali le particolarità nel lavoro di Duvetica?

E.T. Il primo Concept Store Design di Duvetica era a Tokio. Il pavimento del terrazzo fu realizzato alla veneziana in cemento grigio con marmorini di intonaco additivando l’impasto con granuli di lapislazzuli blu. A Milano invece prevale il marmorino o l’intonachino rasato che è dappertutto, anche sul pavimento in cemento elicotterato. Credo che l’elemento caratterizzante di Duvetica sia la gamma colori, che a Milano risalta in modo speciale accostata al cemento faccia a vista.

Ando è uno dei pochissimi architetti viventi che abbia realizzato a Venezia opere tanto importanti. Posizione non facile e compito arduo, soprattutto quando si ha a che fare con una città con un passato tanto imponente. E con la burocrazia italiana…

E.T. Mettere insieme Ando, Pinault e il Sovrintendente alle Belle Arti di Venezia è stato fondamentale, dato che le scelte venivano fatte da queste tre persone. Così abbiamo sveltito notevolmente il processo. Ando ha avuto un grande rispetto per la storia e, nonostante il rapporto con la complessità delle procedure e delle normative italiane, tutto si è svolto in modo fluido. Punta della Dogana era ed è di proprietà statale ma in abbandono da molti anni. Il Comune di Venezia ha formalizzato un accordo con Palazzo Grassi per restaurarlo e lasciarlo in concessione per 30 anni.

Ingegner Cocco, come si fa a controllare in modo così accurato la qualità delle opere in cemento armato?

L.C. Ogni volta realizzo dei campioni in fase preliminare e specifico per ogni tipo di cantiere. A Venezia ad esempio gli inerti erano di ghiaia di fiume, che a Milano non esiste ed è sostituita dal misto spaccato. Ogni lavoro segue una procedura differente e al risultato desiderato si arriva con un “mix design” differente. Partendo da una base, si fanno 2 o 3 campioni che si raffinano progressivamente. Certo gli ingredienti alla fine sono quelli standard Rck 350-500, fluidificanti e così via, ma cambia il modo di combinarli.

Qui si chiude l’intervista. Un’opera di architettura dipende da alcuni aspetti fondamentali: dagli uomini che l’hanno pensata, da quelli che l’hanno realizzata, dal modo in cui lavorano, dai passi e gli ostacoli fondamentali del cammino di realizzazione e da come viene abitata. Sono elementi concreti e importanti ma troppo spesso resi secondari dal culto del progetto per sé, dal culto dell’autore, o delle immagini, la cui importanza sembra ormai prevalere su quella della realtà. Il modo in cui sono realizzati i progetti di Tadao Ando, come emerge dal racconto di Eugenio Tranquilli e Luigi Cocco, rivela invece la realtà di opere di altissimo livello dove la materia, grazie alla perfezione, trascende il proprio stato e assume nuovi significati.

Carlo Ezechieli

 

TADAO ANDO

Tadao Ando (Osaka,1941) è uno dei più noti progettisti contemporanei. Ispirato dall’architettura tradizionale del proprio Paese e allo stesso tempo influenzato dal Movimento Moderno e da Le Corbusier, il suo lavoro si caratterizza per un approccio ‘artigianale’ estremamente attento ai dettagli. Tra i numerosi progetti che portano la sua firma la Azuma House di Sumiyoshi (1976), la Chiesa della Luce a Osaka (1989), l’edificio per la Pulitzer Foundation for the Arts a St. Louis (2001), il Museo di Arte Moderna di Fort Worth (2002). Nel corso della carriera, oltre al Premio Pritzker nel 1995, ha ricevuto riconoscimenti come la Medaglia d’oro dall’accademia Francese di architettura nel 1989 e la Medaglia d’oro della Union internationale des architectes nel 2005. Membro onorario dell’American Institute of Architects e della Royal Academy of Arts di londra, è stato anche visiting professor alle Università di Yale, Columbia, U.C. di Berkeley e Harvard.

 

 

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