Sono occorsi sette anni, uno per ogni decennio di una fortunata carriera, per realizzare la più ampia retrospettiva dedicata all’architetto sino-americano Ieoh Ming Pei (1917–2019), premio Pritzker 1983 e famoso in tutto il mondo per la Piramide del Louvre.
Intitolata I. M. Pei: Life Is Architecture, la mostra nella West Gallery del museo M+ di Kowloon, Hong Kong, fino al 5 gennaio 2025 presenta più di 400 tra disegni originali, modelli, fotografie, filmati e altri documenti provenienti da archivi pubblici e privati, compresi cinque modelli di opere di I. M. Pei (compresi il museo d’arte cinese di Shanghai e l’Iperboloide di New York, non costruiti) realizzati da studenti dei master di architettura dell’Università di Hong Kong e della Scuola di Architettura della Chinese University of Hong Kong.
Sei le grandi aree tematiche nelle quali la mostra si sviluppa: la sua formazione; l’approccio alla scala urbana; l’impegno con l’arte; il rapporto con i clienti; l’uso magistrale della geometria, dei materiali e della struttura; la profonda riflessione sul passato.
Nel 1935, approdato diciottenne da Canton negli Stati Uniti per studiare architettura all’università della Pennsilvania e all’Mit di Cambridge, Pei rimase colpito dalle opere del Movimento Moderno che si andava diffondendo in quel periodo, sia in risposta alla Grande Depressione sia grazie all’influsso culturale dei maestri che abbandonavano l’Europa di Hitler emigrando negli Usa. Non minore influenza sulla sua formazione ebbero le grandi questioni geo-politiche: nel 1938 scoppiò la seconda guerra sino-giapponese, che dal 1941, con l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale divenne la grande Guerra del Pacifico.
Una complessità di situazioni che determinò l’atteggiamento trans-culturale che Pei mantenne per tutta la vita, e un approccio pragmatico, tipicamente americano, alla professione, con il primo impiego nel 1948 presso Webb Knapp, il principale sviluppatore immobiliare statunitense dell’immediato dopoguerra, dove portò avanti progetti residenziali e piani di rigenerazione urbana di interi quartieri.
Fondato nel 1955, lo studio I. M. Pei & Associates capitalizzò questa esperienza iniziando a lavorare al di fuori degli States. Fondamentale per la successiva carriera fu anche la capacità di relazionarsi con clienti importanti, convincendoli spesso a realizzare qualcosa di più ambizioso di quanto avessero immaginato, malgrado i costi, e opponendosi con forza alle obiezioni. Anche così – riuscendo a realizzare i suoi progetti – crebbe la fama di Pei come progettista di musei, la cui importanza andava oltre la mera forma architettonica per disegnare spazi pubblici adeguati al genere di arte cui erano destinati.
Nel corso degli anni – nel frattempo lo studio cresceva, evolvendosi prima in I.M. Pei & Partners (1966) e nel 1989 nell’attuale Pei Cobb Freed and Partners – si perfezionavano intanto le sperimentazioni strutturali e le innovazioni nei materiali che hanno cambiato il volto della progettazione architettonica. Con i suoi team, Pei ha perseguito approcci non convenzionali ai materiali scoprendo la versatilità di calcestruzzo, pietra, vetro e acciaio per costruire architettura innovative senza compromettere l’integrità strutturale e l’efficienza economica del progetto.
L’ultima sezione della mostra, Reinterpreting History through Design, racconta infine il tentativo – non sempre riuscito – di stabilire un dialogo tra le innovazioni tecnologiche e l’architettura storica e classica. Una strategia di progettazione formale e spaziale che intendeva distillare, per trasferirli alla nuova funzione dell’opera, l’essenza degli archetipi costruttivi nei quali si manifestava la cultura del luogo.
Organizzata con il sostegno dell’Archivio di I. M. Pei e di Pei Cobb Freed & Partners e prodotta con il sostegno di Bank of China, I. M. Pei: Life Is Architecture è curata da Shirley Surya, curatrice della sezione Design e Architettura dell’M+, e da Aric Chen, direttore del Nieuwe Instituut di Rotterdam.