Alberto Kalach,
venuto alla ribalta con la Biblioteca José Vasconcelos di Cittá del Messico,
probabilmente una delle piú acclamate recenti opere di architettura in America
latina, é una figura di spicco di una nuova scuola di architettura, proiettata
a livello internazionale, che sta emergendo in questi anni in Messico come in
molti altri paesi del Centro e Sud America. Il lavoro di Kalach é
caratterizzato da una forte impronta Moderna, rielaborata con creativitá in
base ad alcuni elementi della tradizione locale, primo tra tutti l´attenzione
verso il disegno degli spazi aperti che si rivela nelle notevoli sequenze di
rapporto tra interno ed esterno di opere come la Casa a Valle de Bravo del 1996
o nel giardino botanico della stessa Biblioteca Vasconcelos di dieci anni successiva.
Abbiamo avuto occasione di intervistarlo, grazie all´ottima organizzazione
della Responsabile del Servizio di Comunicazione e Conferenze, Amanda Prada, in
occasione di una conferenza tenutasi presso l´Accademia di Architettura di
Mendrisio e presentata da Valentin Bearth.
Domanda
scontata, ma mai troppo scontata: come definisce il suo lavoro?
Tento di risolvere problemi legati all´abitare e al costruire.
Quali sono i
passi fondamentali che compie sviluppando un progetto? Segue un metodo preciso?
Non direi che tendo a seguire un metodo preciso. Anche se credo che il
metodo fondamentale sia visitare il sito, sentirlo, ritornarci, dedicare tutto
il tempo necessario all´esperienza del luogo. Osservare l´orientamento, le
viste e gli allineamenti, dove e come si entra. Talvolta peró il luogo non dice
molto, anzi non dice proprio nulla, e i miei riferimenti diventano questioni
come l´orientamento, la ventilazione. Ogni progetto comunque é un caso a sé e
le regole cambiano di volta in volta. Facciamo ovviamente molti schizzi e molti
modelli, ma quel che sicuramente cerchiamo di evitare é di partire con idee
preconcette.
Esiste per
lei un ideale di perfezione nel suo lavoro?
Questo ancora non lo so, altrimenti l´avrei giá fatto. Per il momento mi
limito a fare le cose al meglio.
Cos´é allora
ció che secondo lei distingue una grande opera di architettura?
Dal mio punto di vista ha molto a che fare con la coerenza tra spazio e
struttura, che siano un cosa sola, e che questa sia convincente, che sappia
sorprendere con le proporzioni, con la luce, con sorprese. Tutto questo si puó
ottenere in modo molto semplice.
Da dove
nasce il suo interesse per l´architettura? E quali le fonti di ispirazione
fondamentali?
Fin da bambino mi ha sempre interessato la costruzione e il disegno. Come
tutti ho incominciato copiando, e come tutti ho avuto una serie di idoli, ma la
mia lista é particolarmente lunga. Il primo che mi viene in mente é Le
Corbusier, ma anche varie e piú o meno passeggere infatuazioni, come quella per
un libretto su Kenzo Tange che qualche tempo fa occupava un posto d´onore nella
mia biblioteca. Mi affascina molto l´opera di Mies Van Der Rohe e, per un buon
periodo, sono stato un fanatico dalla casa sulla cascata di F.L.Wright. E di
sicuro non posso non citare i grandi maestri ticinesi come Galfetti, Botta,
Snozzi e Vacchini. Infine Antoni Gaudí, un genio assoluto, anche se poco
ortodosso. Alla fine, tutto ció che vedo mi interessa dal punto di vista
dell´architettura e della composizione. Sono molto influenzato dalla scultura,
dalla letteratura e, indirettamente, dalla musica. Di certo mi affascina il
fenomeno urbano, tutto ció che riguarda lo sviluppo e l´evoluzione di una cittá
e in particolare quelle ?architetture senza architetti? come quelle del libro, eccezionale,
di Bernard Rudofsky (Architecture without Architects: a short introduction
to non-pedegreed architecture, University of New mexico Press, 1987, NdR).
E giá che ci
siamo, cosa invece non le piace?
Dato che l´architettura mi piace credo che in ogni proposta ci sia sempre
qualcosa di interessante. Non mi piace granché questa recente architettura
assurda, con superfici deformate e ritorte in modo del tutto gratuito, anche se
ammiro profondamente Frank Gehry, che ritengo un caso unico e un artista notevolissimo.
Come vede la
posizione, senza dubbio sempre piú influente, dell´America latina nel mondo –
mi riferisco all´arte, all´architettura ma anche, a livello di pianificazione
urbana con sistemi innovativi di mobilitá – e in particolare rispetto all´Europa?
A dir la veritá
non sono molto cosciente di come sia la situazione qui in Europa. Quello che
posso dire é che alcuni architetti messicani hanno avuto un certo impatto
innovativo, in particolare Barragán, che ha rivalutato in architettura termini
come serenitá, bellezza, ispirazione, ingiustamente caduti in disuso e che
peraltro ricorrono anche nel pensiero di Luis Kahn. Credo comunque che in
questo momento Europa e America latina si trovino di fronte a problemi molto
differenti. In Messico mancano infrastrutture, mancano case, mancano una serie
di servizi e di attrezzature di base che qui in Europa vengono date per
scontate. é un po´ la stessa differenza che ci puó essere tra una persona che
si sveglia ogni giorno senza sapere bene come fará a guadagnarsi il pane e
qualcun altro un altro che, superati questi problemi, decide di andare in
psicanalisi. In Europa ormai tutto é fatto e credo la questione sia piú in
termini di evoluzione che non di sviluppo.
La ?matrice
sospesa? degli scaffali nella grande navata centrale della biblioteca
Vasconcelos é una composizione audace e incredibilmente dinamica, basata sulla
contrapposizione tra un involucro pressoché stereometrico e un´ossatura interna
varia e dinamica. Da dove nasce l´idea di questo progetto?
L´architettura della biblioteca Vasconcelos ha origine da un concorso,
una formula che credo sia importantissima per esplorare questioni progettuali.
All´inizio avevamo considerato diversi concetti di biblioteca: come quello del
labirinto ben descritto da Borges o da Umberto Eco. Non c´é voluto molto per
capire che questo schema non trova facile applicazione quando si affronta il
tema di una biblioteca pubblica. Lo schema finale che abbiamo seguito é
fondamentalmente quello della biblioteca illuminista, come quelle dei disegni
di Ledoux o Boullée, dove gli archivi si sviluppano attorno a una grande navata
centrale e che da almeno 200 anni si é rivelato particolarmente efficace. A
questo abbiamo aggiunto un sistema dinamico di scale e di livelli. Abbiamo cercato
di gestire il disegno in base a pochi particolari seriali, semplificando il piú
possibile. Le soluzioni sono ricorrenti e questo senza dubbio ci ha facilitato
notevolmente nel controllo generale sull´esecuzione dell´opera.
Un´ultima
domanda, qual é la sua opera favorita?
Alla fine, l´opera favorita é quella su cui sto lavorando. Preferisco non
legarmi troppo a quelle del passato.
Alberto Kalach
Nasce a Cittá del Messico nel 1960. é laureato in architettura presso la
Universidad Iberoamericana a Cittá del Messico e Master in architettura presso
la Cornell University di Ithaca,
New York. Riceve numerosi premi a concorsi nazionali ed internazionali.
Titolare nel 1998 della cattedra Eliot Noyes Chair presso la Graduate School of Design, Harvard
University. Vincitore nel 2002 di un premio della Biennale di Venezia per il Lakes
Project, un progetto di riqualificazione
paesistica e urbanistica dell´importante sistema di laghi di Cittá del Messico
e del Concorso della Biblioteca Nazionale José Vasconcelos di Cittá del
Messico, completata nel 2006.