Nel lontano 1976 Reyner Banham, teorico molto influente in ambito anglossassone, decisamente meno in Italia, presentava con Megastructures: Urban Futures of the Recent Past una formidabile esplorazione sulle proto-megastrutture, secondo la definizione dello stesso Banham, strutture in grado di concentrare in un enorme e unitario ?organismo? una complessitá simile a quella che caratterizza lo spazio urbano. A partire dagli anni ´60, ormai in pieno post-modernismo, le proto-megastrutture hanno avuto una posizione importante nel dibattito di architettura, tanto da essere considerate per alcuni anni una soluzione possibile e auspicabile ai problemi di insediamento e di controllo della crescita urbana. La maggior parte sono rimaste sulla carta, come i pionieristici grattacieli cartesiani di LeCorbusier, altre anche se ridimensionate, hanno trovato realizzazione. Ad anni di distanza, essendosi ormai sedimentato un repertorio ragionevolmente ampio di ascese e di crolli, di successi e di piú frequenti fiaschi, tra le esperienze piú interessanti nella realizzazione di megastrutture o perlomeno di mega-edifici a queste ispirati, emergono alcune grandi, colossali strutture alberghiere, quasi delle self-contained cities, realizzate prevalentemente intorno alla fine degli anni 1970, inizio 1980.
Tra queste il notevolissimo Hotel Las Brisas di Ixtapa, terminato nel 1981 (precedentemente parte della catena Camino Real) su disegno di Ricardo Legorreta, credo riveli una certa influenza delle esplorazioni teorico progettuali, di qualche anno precedenti, nel campo delle proto-megastrutture. L´Hotel Las Brisas si distingue per un approccio particolarmente lucido, per una sintesi, o meglio una ?ricombinazione´ critica di elementi ripresi dalla tradizione architettonica locale, e per un rapporto con il luogo talmente profondo da essere indicato da Kenneth Frampton quale significativo esempio di Megaform (Megaform as Urban Landscape, 1999), ovvero di megastruttura capace di riordinare, assecondandola, la sintassi morfologica del paesaggio.
Il risultato é una struttura imponente, che si adagia completamente sul pendio di una piccola baia e che, dall´interno, incornicia la distesa infinitamente blu dell´Oceano Pacifico e del cielo che lo sovrasta. La vista verso l´oceano é resa ancor piú intensa dalla luce, dal vento e dal contrappunto dei colori vivaci – magenta, blu elettrico, rosa – citazioni dall´architettura tradizionale messicana: un caso esemplare di ?regionalismo critico? (termine sempre coniato da Frampton nel lontano 1983 con riferimento, tra gli altri, all´architettura di Legorreta). La struttura, compenetrata e in alcuni punti sospesa sopra il verde lussureggiante di questo punto della costa Ovest del Messico, lungi dal ricordare gli astratti e spesso inabitabili formicai di molte precedenti proto-megastrutture, si distingue per un abile controllo tipologico del rapporto tra spazi privati e spazi comuni. Infiniti corridoi interni, quasi delle rue-interieures e le camere, tutte con vista sull´oceano, che con forma molto allungata si compongono di due spazi fondamentali: un terrazzo esterno, aperto a luce e aria ma completamente privato, e la camera vera e propria, chiusa e a clima controllato, quasi incassata nel pendio ma, grazie al controllo sapiente delle condizioni ambientali, ben illuminata e ventilata.
L´Hotel Las Brisas é un grande monolite, apparentemente impenetrabile dall´esterno ma incredibilmente aperto e confortevole dall´interno, che ormai a distanza di 30 anni conferma la validitá di un´architettura che riprende, filtrati da un disegno brillante e da un approccio critico straordinariamente semplice e chiaro, teorie e concetti che, applicati a programmi molto piú ambiziosi e meno concreti che non la costruzione di complessi alberghieri, hanno finito in molti casi per rivelarsi pura teoria.
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