Avrebbe compiuto 92 anni il prossimo 2 novembre l’architetto Paolo Portoghesi, morto oggi nella sua residenza di Calcata, nel viterbese.
Per costruire la sua Strada Novissima, alla prima Biennale di Architettura di Venezia di cui era direttore, aveva chiamato Francesco Cellini e Claudio D’Amato e convocato venti architetti internazionali a costruire le facciate di quella che, ricordando le vie di una Roma pulita e senza traffico, definiva, in netta opposizione a Le Corbusier e al Movimento Moderno, “specchio della vita, il luogo dell’incontro, del passeggio, il paradiso del flaneur”.
E in quella stessa Biennale, con Aldo Rossi il ‘teatro della vita’, anzi del Mondo ci fu davvero, per prendere il largo dal bacino di San Marco e attraversare l’oceano raggiungendo San Francisco.
Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana nel 2002, socio nazionale dei Lincei (2000), socio dell’Accademia delle Arti di Firenze (dal 1977), già presidente dell’Accademia di San Luca, oggi Paolo Portoghesi viene ricordato da tutti, a cominciare da Stefano Boeri presidente di Triennale Milano che due anni fa, con il Maxxi, gli consegnò il premio Architetto Italiano alla carriera.
Docente di storia dell’architettura prima all’università La Sapienza di Roma e poi al Politecnico di Milano (dove dal 1968 al 1976, negli anni della contestazione, fu anche preside), Portoghesi è stato autore (fino al 2015 con l’ingegnere Franco Gigliotti) tra l’altro della grande Moschea e Centro Islamico di Roma e, completata nel 2019, della cattedrale di Lamezia Terme.
Altrettanto nota a Roma Casa Papanice, oggi sede dell’ambasciata di Giordania, testimonianza dell’interesse dell’autore di Postmodern. L’architettura nella società postindustriale per il Barocco romano.
