LEONARDO RICCI 100, LA MOSTRA FIORENTINA

In occasione del centenario dalla nascita di Leonardo Ricci l’ex Refettorio di Santa Maria Novella a Firenze ospita – dal 12 aprile al 26 maggio 2019 – la mostra Leonardo Ricci 100. Scrittura, pittura e architettura: 100 note a margine dell’Anonimo del XX secolo. Insieme ai materiali d’archivio del Csac di Parma, sono esposti per la prima volta i lavori conservati nella casa-studio dell’architetto a Monterinaldi.

Schizzi di matrice espressionista, dipinti di forte impatto materico e figurativo, frammenti di composizioni in mosaico, fotografie d’epoca e modelli sono accostati ai disegni architettonici formano un quadro della ricchezza della ricerca teorica, artistica e progettuale di Leonardo Ricci scrittore, pittore e architetto. Documenti video/audio e brani di riviste contribuiscono a rendere comprensibile un messaggio poliedrico e profondamente organico, tradotto magistralmente da Ricci anche attraverso la forma scritta.

Leonardo Ricci, casa a Monterinaldo, foto Ricardo Scofidio

 

La mostra, curata da Maria Clara Ghia, Ugo Dattilo e Clementina Ricci, ha l’obiettivo di presentare la figura di Leonardo Ricci in maniera libera e asistematica, con un chiaro taglio interdisciplinare. A guidare il visitatore saranno stralcidi Anonimo del XX Secolo, libro di respiro esistenzialista scritto da Ricci negli Stati Uniti nel 1957, «non un libro dotto per specializzati ma aperto a tutti», come lo definiva il suo autore. «Il mio desiderio– scriveva – era quello di trattare alcuni argomenti strettamente connessi alla mia sfera di attività che si svolge principalmente nel campo dell’urbanistica e dell’architettura, ma in maniera non specifica».

Le sezioni della mostra, sedici come i capitoli del libro, mimano l’apertura del pensiero di Ricci e mescolano opere di diversi periodi e di differenti provenienze, collezionando, invece che catalogando, una produzione in cui iconfini tra le discipline si dissolvono. 

In Leonardo Ricci 100 ci si muove tra l’ottimismo utopico degli anni Quaranta della Firenze postbellica, dove Ricci partecipa ai concorsi per la ricostruzione dei ponti fiorentini, lavora con Savioli e Michelucci e scopre l’amore per la didattica, spostandoci verso le correnti esistenzialiste che ne influenzeranno l’opera letteraria, fino a toccare il primitivismo e il figurativismo mutuato da artisti come Schiele e Picasso e dai contemporanei Corrado Cagli e Afro.

Ampio spazio viene dedicato alla sua opera manifesto di Monterinaldi (la casa-studio Ricci del 1949, completata nel 1961), opera in cui si rintracciano i principali motivi della sua ricerca architettonica.

Proprio in quest’area, con Fiamma Vigo nel 1955 Ricci dà vita a “La cava”, un evento in forma di manifestazione espositiva diventato celebre per la scelta di coinvolgere l’intera collina di Monterinaldi, in un’azione collaborativa alla quale prendono parte liberamente architetti, pittori e scultori, in una completa integrazione fra le arti.

Leonardo Ricci, schizzo per il palazzo di Giustizia di Novoli, realizzato (male) postumo

 

«Fare un’architettura vuol dire far vivere la gente in un modo piuttosto che in un altro» scrive Ricci in Anonimo del XX secolo, ripetendo una frase con cui pungolava i suoi studenti: ed è la domanda a cui risponde attraverso i villaggi per le comunità valdesi di Agape (1946-47) a Prali in Piemonte e di Monte degli Ulivi (1963-67) a Riesi in Sicilia, progetti in cui Ricci esprime pienamente la sua poetica comunitaria e il suo procedimento creativo, oppure con “La Nave” che realizza a Sorgane (Firenze), un edificio-città lungo 200 metri con l’intento di superare quegli aspetti critici che rintracciava nell’Unité d’habitation di LeCorbusier.

Nella mostra trova spazio anche la matrici organico-espressionista che caratterizza le architetture di villa Mann Borgese a Forte dei Marmi (1957–59), villa Pleydell–Bouverie, villa Balmain all’isola d’Elba (1958) e in molti altri progetti non realizzati, accanto al padiglione italiano per l’Expo 67 a Montreal in Canada, dove la collaborazione con Emilio Vedova e Carlo Scarpa ribadisce le sue sensibilità ancora una volta aperte all’esplorazione di ambiti di espressione artistica contigui all’architettura.

E ancora: il progetto Model City per la Florida, i concorsi in Francia, l’attività di instancabile insegnante: le 100 note di architettura, pittura e architettura ci restituiscono oggi un ritratto multiforme d’artista.

Una ricerca aperta quella di Leonardo Ricci, che metteva al centro il benessere e il bonheur delle persone: in Anonimo del XX secolo scriveva «spero che ognuno vi trovi qualcosa di quello che cerca, che in questo mondo apparentemente incomunicabile uno scambio avvenga».

Questo approccio si traduce in un itinerario di visita non lineare, nell’allestimento di Eutropia Architettura, che accosta realizzazioni profondamente diverse alla ricerca delle relazioni tra le cose che esistono e per stabilirne di nuove.

 

Di origine franco-svizzera e di educazione valdese, Leonardo Ricci (Roma 8 giugno 1918 – Venezia 29 settembre 1994). dopo essersi trasferito con la famiglia da Roma a Torino, approda a Venezia e a Padova, dove espone per la prima volta neppure ventenne.

Nel 1936 si iscrive alla Facoltà di Architettura di Firenze e incontra il Maestro Giovanni Michelucci, con il quale si laurea e del quale è poi assistente e collaboratore.

Dopo l’interruzione della seconda guerra mondiale Ricci torna a Firenze e nel 1944 apre il suo studio professionale con Leonardo Savioli e Giuseppe Giorgio Gori partecipando ai concorsi per la ricostruzione dei ponti fiorentini e delle zone distrutte del centro, inserendosi nel dibattito contro la ricostruzione “com’era dov’era” sostenuta da Bernard Berenson e appoggiando le tesi di Michelucci che intendevano al contrario le ferite della città come occasioni di rinnovamento.

La prima commissione importante arriva nel 1946 quando Ricci vive l’esperienza comunitaria nella valle piemontese di Prali con la realizzazione del villaggio valdese Agàpe, portata a termine da Giovanni Klaus Koenig. Questa avventura di condivisione segnerà fortemente le più importanti scelte architettoniche del periodo successivo.

Seguono due realizzazioni architettoniche fondamentali: il mercato dei fiori a Pescia con Savioli, Giuseppe Giorgio Gori, Enzo Gori e Brizzi (1948- 51) e l’insediamento di Monterinaldi a Firenze (1949-1968). Il “villaggio dei marziani”, così è comunemente chiamato l’intervento sul terreno scosceso di fronte a Fiesole, è un vero e proprio manifesto del suo modo di intendere l’opera architettonica come tutt’uno con il paesaggio circostante. Alla casa per la sua famiglia Ricci affianca nel tempo una serie di altre residenze. L’insieme sembra essere lì da sempre, realizzato con i muri a scarpata e le pietre del luogo, ed è costruito seguendo le necessità primarie, senza barriere o interruzioni, per un fluire libero e dinamico della vita degli abitanti. Grazie alla fortuna critica di Monterinaldi, Ricci si avventurerà anche nel progetto per un secondo villaggio residenziale a Montepiano, che tuttavia non riuscirà a ultimare.

Nella ricerca pittorica Ricci passa in questo periodo da un registro figurativo composto da forme arcaiche che esplorano la via dell’onirico, della vita, della morte e della fertilità, all’Informale, con una maniera altamente drammatica, una sorta di automatismo psichico che trova i suoi modelli anche nell’Action painting. I nuovi maestri sono i primitivisti, da Schiele a Picasso, ma anche amici come Corrado Cagli, Afro, Mirko Basaldella e il gruppo di artisti che vive intorno alla figura di Fiamma Vigo e della galleria Numero. La consacrazione della casa-studio come luogo eletto per rappresentare Ricci “pittore e architetto” avviene nel 1955 con l’allestimento della mostra “La Cava”, curata con la Vigo: una serie di opere, fra gli altri di André Bloc, Mirko e Arnaldo Pomodoro, sono esposte all’aperto su tutta la collina (Aujourd’hui, 1955, n. 5, pp. 32 s.).

Negli stessi anni Ricci avvia l’impegno didattico all’Università di Firenze, prima come assistente, poi come ordinario e infine come preside, vivendo in pieno la contestazione del Sessantotto, fino alle dimissioni e all’esilio veneziano dal 1973. 

Alla fine degli anni Cinquanta Ricci progetta alcune ville di matrice organico-espressionista come la casa per Elisabeth Mann Borgese a Forte dei Marmi (1957–59) e quella per il couturier Pierre Balmain all’isola d’Elba (1958), mentre unico esempio di realizzazione per l’industria è l’edificio multifunzionale della Manifattura Goti a Campi Bisenzio (1959-62). L’incarico cruciale è quello per la macrostruttura “La Nave” all’interno del piano urbanistico per il nuovo quartiere di Sorgane: un organismo architettonico di matrice brutalista, complesso e flessibile, che nelle intenzioni del progettista cerca di superare quegli aspetti critici di chiusura evidenziati nell’Unité d’habitation di Le Corbusier.

Dal 1960 al 1983 è chiamato a insegnare anche negli Stati Uniti, come Visiting Professor e Graduate Research Professor al Mit, alla Penn State University e alla Florida University, dove disegnerà con gli studenti nuovi modelli urbani a scala territoriale. 

Le esperienze professionali e di insegnamento, il soggiorno americano e la conoscenza diretta delle opere di Frank Lloyd Wright portano Ricci a raccogliere le basi per quell’insieme di riflessioni sulla vita, sull’arte e sull’architettura che convergono in Anonimo del XX secolo(il Saggiatore, 1965).

Nei primi Sessanta Ricci è anche in Sicilia per progettare un villaggio comunitario a Riesi (il Monte degli Ulivi), in un ambiente ostile controllato dalla mafia. L’idea per il Monte degli Ulivi è semplice: costruire un centro per tutti, vecchi, adulti, bambini. Gli edifici previsti sono l’Ecclesia, la scuola elementare, l’asilo, l’officina, gli uffici e gli alloggi. Le strutture sono quelle di ogni altro villaggio, ma Ricci cerca di distruggerle come entità separate per integrare residenza e lavoro e per mettere in pratica le idee di una riconfigurazione degli spazi di vita impostata sui bisogni reali. Lo schema iniziale dovrà subire delle modifiche dovute alle ristrettezze economiche e l’Ecclesia resterà incompiuta: guscio spezzato, meravigliosa forma plastica interrotta, primo esempio mai realizzato di architettura informale in Italia.

Nel 1964 Ricci allestisce la mostra dell’Espressionismo a Palazzo Strozzi e nel 1967 è invitato da Zevi, Giulio Carlo Argan e Umberto Eco a progettare una sezione del padiglione italiano all’Expo di Montréal, con Carlo Scarpa, Emilio Vedova e Bruno Munari. Del 1977 è il progetto di concorso per il Centro Direzionale di Firenze, del 1978 è il Contreprojet pour les Halles a Parigi mentre del 1981 è il progetto per il grattacielo del Chicago Herald Tribune.

Ultime e più tormentate opere della maturità sono la gigantesca struttura piramidale del cimitero di Jesi del 1984 e il palazzo di Giustizia di Savona del 1987.

Realizzazione postuma e molto discussa è il Palazzo di Giustizia di Firenze, ultima occasione di collaborazione mancata con Michelucci. Il travagliato cantiere ha portato a un risultato che non restituisce in maniera soddisfacente il progetto originario.

Il fare progettuale di Ricci resta un unicum in Italia: la concezione dello spazio come fatto esistenziale e risultato dei bisogni primari dell’uomo, il progetto come tentativo di accettare il dinamismo dei fenomeni e l’incessante fluire della vita che non può essere arginata in forme prestabilite. Una ricerca che conduce verso un modo originario di abitare la terra, un linguaggio come risposta mai compiuta agli interrogativi sul senso autentico di essere nel mondo.

     

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