RETHINKING CITIES/INTERVISTA A CIBIC

Dopo il credit crunch e varie bancarotte. Dopo la netta contrazione dei mercati di tutti i paesi industrializzati (e dell’Italia in particolare), il periodo che stiamo ora vivendo potrebbe essere definito come “l’era della crisi”, o “l’epoca post-consumista”. Stiamo vivendo un inizio decennio all’insegna di impieghi rimpiazzati da macchine e da dinamiche sempre più globalizzate, di vecchi modelli di business che rantolano e, fondamentalmente, di opportunità che scarseggiano. Un insieme di circostanze che, se da un lato disorienta, dall’altro offusca la percezione di nuovi equilibri e valori che nonostante tutto si stanno affermando, portando con sé un fortissimo potenziale di cambiamento. Indubbiamente stiamo attraversando una crisi, ma anche un passaggio evolutivo, che porta con sé temi inediti rispetto ai quali il lavoro di Aldo Cibic rappresenta uno dei fronti di più interessanti e coerenti di riflessione. Una ricerca che identifica e prefigura modelli di attività e di abitare verso i quali in modo silenzioso ma inesorabile ci stiamo progressivamente orientando.

La classica domanda scomoda: come definiresti il tuo lavoro in 30 secondi?

Credo innanzitutto che il mio lavoro si sviluppi su tre piani distinti. Un primo livello comprende progetti di vario genere, per uffici, residenze, alberghi, spazi commerciali. Un secondo, di natura più personale – e che peraltro spesso coinvolge il paesaggio – rivolto alla produzione di oggetti e installazioni. Fa parte di una poetica del tutto personale. Un terzo, infine, consiste in una ricerca sulla socialità, dove l´architettura e il design diventano uno strumento per individuare e dare forma a ciò di cui la società necessita e di cui, in modo più o meno consapevole, sente maggiormente la mancanza. Mi interessa vedere come le azioni delle persone possono generare luoghi e partire dal ragionamento su un´attività per capire come questa potrebbe trasformarsi  in architettura, design e stili di vita.

Secondo te cosa manca di più al mondo e alla pratica dell´architettura?

Siamo troppo spesso di fronte al lavoro di architetti che tendono a essere concentrati più sulla produzione dei loro oggetti che alla creazione di luoghi in cui vivere bene. Parlando di idea o modello di città, ci sono esempi realizzati che potresti citare? Gli esempi che mi vengono in mente sono soprattutto quelli del Nord Europa, come ad esempio a Copenhagen, dove si vede che nelle città c’è una maggiore attenzione alla qualità della vita. Proprio guardando a quei modelli si impara che è importante capire il processo attraverso il quale le cose possono succedere e quindi di analizzare quali pos sono essere le azioni, le attività e le funzioni che generano una migliore qualità della vita.

Ciò che proponi nel progetto Microrealities: un “abitare leggero” temporaneo, e contemporaneo, trova qualche riferimento attuale o nella storia dell´architettura?

Una delle cose che per esempio mi interessa molto è come riaffrontare in Italia il tema del turismo in modo sensibile. C’è una gran voglia di Italia ma non siamo capaci di produrre delle risposte interessanti; questo implica l’idea di organizzarsi a livello multidisciplinare per mettere insieme delle offerte articolate che possano portare beneficio in termini di occupazione, e in generale di rigenerazione del paesaggio e dell’ambiente.

Non credi che il modello attuale sia piuttosto esausto o quantomeno tendente alla saturazione?

Non credo che il modello sia esausto ma sono convinto che si tratti di guardare alla realtà con un approccio diverso cercando di analizzare a fondo tutti gli aspetti da affrontare e i problemi da risolvere per produrre un cambiamento.

Vedi qualche segnale positivo in questo senso?

Non mi sembra che ci siano segnali positivi proprio perché ognuno lavora per sé e non si riesce ad innescare un processo di progettualità condivisa.

Nella tua ormai lunga e riconosciuta carriera che cosa ti ha influenzato di più?

Credo che sia importante riuscire a sognare e a credere che, nonostante i muri e le difficoltà che ci troviamo di fronte, si possono operare dei cambiamenti. È importante arrivare ad avere dei progetti capaci di diventare modelli di riferimento di come si possa operare in modo più contemporaneo, nel senso di rispondere a bisogni latenti che possano essere la motivazione a guardare al futuro con più ottimismo.

Carlo Ezechieli

Rethinking Happyness

Con un approccio multidisciplinare il progetto, sviluppato da Aldo Cibic per la Biennale Architettura del 2010, declina in quattro diversi contesti una visione che riconsidera le criticità attuali come opportunità per elaborare idee alternative di comunità in cui gli individui – non più solo abitanti, non più semplicemente lavoratori – possano ritrovarsi e riconoscersi.
 
Progetto Aldo Cibic 
Con Chuck Felton, Tommaso Corà, Luigi Fumagalli, Susana Chae, Dario Freguia, Silvia Conz, Andrea Argentieri, Carolina Chini, Caterina Rosa, Daniela Ventura, Franca Bosia
Contributi progettuali Maya Brittain, Mariano Zanon
Modelli Luca Stalla, Francesca Fezzi, Roberta Bacco, Mattia Bianchi, Martin Bickler, Alice Cillara, Isabella Falchi, Paolo Ceresato, Riccardo Rossi
Foto Matteo Cibic, Dario Freguia
Disegni Chuck Felton

 

 

 

Nei modelli e nei disegni da Rethinking happyness:

Il campus tra i campi. Venice agri-techno valley

La laguna di Venezia è un’oasi di biodiversità. Un giovane gruppo che si occupa di start-up innovative legate alle nuove tecnologie decide di occupare un grande terreno agricolo circondato dall’acqua dove vivono e lavorano circa 250 giovani. Ne deriva la possibilità di sviluppare un nuovo modello di campus, in una condizione di autosufficienza energetica e alimentare. Agricoltura, orti, turismo e tecnologia convivono nello stesso ambiente.

 

Nei modelli e nei disegni da Rethinking happyness:

Urbanismo rurale

A un’ora da Shanghai un ampio territorio di antica tradizione agricola è compresso tra una zona industriale in espansione e una nuova città. L’idea è quella di creare un parco rurale di 4 kmq abitato da 8.000 persone con residenze a bassa densità, preservando l’agricoltura e offrendo spazi verdi agli abitanti. Si tratta di un gruppo di edifici sopraelevati sulle strade che crea una maglia perpendicolare che galleggia sulla campagna. Al centro di questo parco agricolo si trovano fattorie specializzate che producono colture integrate per uno sviluppo sostenibile e redditizio della campagna. È lo spazio per una nuova comunità con servizi condivisi, nuove attività e relazioni in sintonia con il territorio.

 

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