TRA CARDO E DECUMANO

“L’Expo che abbiamo immaginato sarà un grande parco botanico planetario aperto ai cittadini di Milano e del mondo. Il luogo inedito di un incontro tra agricoltura e città … che richiamerà la sostenibilità ambientale, la precisione tecnica e la struggente bellezza delle calli di Venezia, dei canali navigabili disegnati da Leonardo, delle grandi campiture agricole”.

Così scriveva la consulta internazionale di architetti composta da Stefano Boeri, Richard Burdett, Joan Busquets, William McDonough e Jacques Herzog consegnando il masterplan presentato ufficialmente l’8 settembre del 2009. Cinque anni dopo quel piano, reso esecutivo da una squadra di giovani progettisti coordinata dall’architetto Matteo Gatto e dall’ingegnere Renzo Gorini, prende forma con tutti i limiti del reale, primo tra tutti la rivalità tra Paesi espressa dalle architetture dei padiglioni self-built. Anche se non si tratta di architetture monumentali, dati i rigidi vincoli riguardanti il rapporto tra aree edificate e spazi aperti e quelli relativi alla decostruzione, riuso e riciclabilità dei materiali impiegati, da cui un ampio ricorso alla prefabbricazione in legno.

Del masterplan originale rimane l’acqua, con un canale di 4,5 chilometri che corre intorno al sito e alimenta il grande invaso della Lake Arena, con gradinate per 3.000 posti a sedere. Rimane l’idea dei cluster che raggruppano Paesi per grandi aree tematiche legate all’alimentazione.

Rimane, soprattutto, la natura ortogonale della griglia fondativa, sviluppata sui due assi del cardo (sud-nord) e del decumano, lungo il quale sorgeranno la maggior parte dei padiglioni nazionali (36 metri di larghezza e 1.400 metri di lunghezza da ovest a est), che favorisce una distribuzione regolare degli spazi e che rappresenta un’ottima premessa per trasformare in nuovo brano di città un’infelice area suburbana.

Riguardo al futuro, il bando per l’assegnazione del milione e passa di metri quadri è quasi pronto: i soci di Arexpo hanno fretta di rientrare dei 300 milioni investiti nei terreni. Di certo, con un indice di edificabilità di 0,52, si tratta di 489.000 metri quadri potenziali, mentre altri 440.000 saranno a verde. Se Expo, con le aspettative di indotto stimate in 60mila posti di lavoro e 15 miliardi, sta assumendo una dimensione salvifica, il dopo Expo potrà essere invece un’occasione urbanistica irripetibile.

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