La mostra Turning Pain Into Power, che Kunst Meran/Merano Arte ospita dal 15 ottobre 2022 fino al 29 gennaio 2023, pone l’accento sul potenziale dell’arte nel risvegliare e incrementare la consapevolezza sulle ingiustizie sociali e politiche. La collettiva, a cura di Judith Waldmann, presenta una selezione di artisti che contrastano diverse forme di iniquità attraverso strategie forti, consapevoli e creative, affrontando tematiche quali il razzismo, la violenza di genere e la lotta alle discriminazioni.
La mostra si apre con un motto militante scritto a lettere rosse: “I won’t shut up”, non terrò la bocca chiusa. Il lavoro, di Monica Bonvicini, si riferisce alla libertà di espressione, sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e il dovere di “aprire la bocca” e non accettare in silenzio le ingiustizie. La cronaca quotidiana e le relazioni annuali di organizzazioni come Reporter Senza Frontiere o Pen International fanno emergere in modo impressionante come, in molte zone del mondo, semplicemente esprimere le proprie opinioni o peggio assumere posizioni critiche sia fonte di pericolo, a volte addirittura per la vita.
Oltre alla parola, anche altre forme espressive – come gesti o simboli – possono diventare segni di resistenza collettiva. Giuseppe Stampone cattura un momento storico impresso nella nostra memoria collettiva riproducendolo con una biro: nel 1968, durante la premiazione alle Olimpiadi di città del Messico, l’atleta afroamericano Tommie Smith alza il pugno proponendo il saluto del movimento Black Power. A distanza di oltre quarant’anni, il gesto di inginocchiarsi proposto da molti atleti in tutto il mondo come atto di solidarietà con il movimento Black lives mattersi ricollega a queste strategie di protesta pacifica.
Negli anni del nazionalsocialismo le persone omosessuali venivano marchiate con un triangolo rosa, il cosiddetto ‘Rosa Winkel’. Questo simbolo era cucito sulle casacche dei deportati nei campi di concentramento a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. “Kostüm Kakaduarchiv” (2022) di Philipp Gufler mostra come il “Rosa Winkel” sia stato adottato nella Germania postbellica, accompagnato dalla scritta “Gays against Oppression and Fascism”, come segno contro l’omofobia e contro l’oblio delle atrocità perpetrate dal nazionalsocialismo.
La violenza di genere è affrontata con particolare intensità anche nel lavoro di Regina José Galindo. Nel video esposto a Merano “El dolor en un pañuelo” (1999), il corpo femminile vulnerabile, perché nudo, dell’artista diventa letteralmente una superficie di proiezione: su di esso, legato a un letto verticale, vengono infatti fatte scorrere diapositive che mostrano articoli di giornale sugli innumerevoli casi di violenza contro le donne in Guatemala. In questo modo l’artista rende il proprio corpo una piattaforma che porta all’attenzione dei visitatori e delle visitatrici i crimini commessi contro le donne, spronandoli a confrontarsi con questa tematica.
Turning Pain Into Power è pensata da Merano Arte come punto di partenza di un lavoro a lungo termine sui rapporti tra arte, attivismo e formazione, volto a indagare, mettere in discussione e contrastare i punti ciechi, cioè quelle forme di pregiudizio inconsapevoli, e i gli aspetti da cui scaturiscono le diverse forme di discriminazione.
Gli artisti di Turning Pain into Power:
Cana Bilir-Meier, Monica Bonvicini, Rosalyn D’Mello, Regina José Galindo, Silvia Giambrone, Philipp Gufler, Giulia Iacolutti, Paulo Nazareth, Dan Perjovschi, Adrian Piper, Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki-Olivo), Sven Sachsalber, Giuseppe Stampone.