Architettura nella sua essenza

Arrivato alla sua seconda edizione il Premio BSI Swiss Architectural Award, ed in particolare quello conferito quest´anno a Francis Diébédo Kéré, si sta rivelando un´iniziativa per molti versi rivoluzionaria. Rivoluzionaria perché, dopo un paio di secoli di supremazia culturale dei paesi industrializzati – senz´altro meritata ma piú spesso calata dall´alto attraverso piú o meno evidenti forme di colonizzazione – dimostra finalmente la possibilitá di evoluzione del pensiero in architettura secondo forme complesse e molteplicemente orientate. Il contesto é globale e globalizzato ed i protagonisti sono nuovi e notevoli autori – come Solano Benitez (premiato lo scorso anno da BSI), Wang Shu (che ha invitato Keré nella cittá di Zhou Shan, alla trasformazione di un porto di pescatori in atelier per artisti), e lo stesso Diébédo Kéré – provenienti da nazioni e regioni, fino a pochi anni fa completamente escluse dal dibattito architettonico. L´architettura di Kéré é essenziale, risponde ad esigenze reali, si muove nella massima consapevolezza del contesto in cui sta operando, rivela il rispetto di condizioni imprescindibili ed una vigorosa onestá che l´architettura dei paesi industrializzati, che si sviluppa nell´abbondanza di mezzi e nell´ormai ricorrente ed affannosa ricerca di una spettacolaritá assurda, sembra avere perso ormai da tempo. Da questo punto di vista il premio BSI 2010 segna un´importante volontá di ritorno alla realtá e, come messo in evidenza da Mario Botta (Presidente della giuria del Premio) nella sua ottima introduzione, un ritorno ad un´originalitá autentica (termine, quest´ultimo che val la pena di sottolineare) da raggiungere attraverso la riscoperta di valori senza tempo.

Per cosa si distingue il lavoro di un architetto in Africa, rispetto a quello in altri paesi?
L´Africa é un contesto in cui le esigenze abitative si vanno modificando notevolmente. Nel mio villaggio (Gando, Burkina Faso, circa 6´000 abitanti, senza elettricitá N.d.C.), ad esempio, gli insediamenti tradizionali sono un insieme ben organizzato di capanne a pianta circolare, caratterizzato da una grande flessibilitá in termini organizzativi e costruito con materiali immediatamente reperibili in loco. Il problema é che edifici di questo tipo richiedono manutenzione periodica e vanno pressoché interamente rifatti ogni 2 anni. Il discorso funziona benissimo finché si tratta di piccole capanne ma quando, per rispondere a nuove esigenze, devo costruire una scuola per centinaia di bambini, diventa troppo impegnativo, richiede troppo lavoro, troppi soldi e troppi materiali.

Come avviene l´approvvigionamento dei materiali?
Come nell´architettura tradizionale, quasi tutto proviene dal luogo. Il clima tende sempre di piú alla siccitá ed é improponibile tagliare piante per ricavarne legna da ardere, il reperimento di combustibili di altro genere é pure difficoltoso, e per questo i mattoni non sono cotti ma compattati, con una macchina che abbiamo fatto apposta, e messi a seccare al sole. Certe parti dell´edificio é necessario costruirle in cemento, che arriva principalmente dal Togo, ma é molto caro e pertanto cerco di usarne il meno possibile. Cerco al contrario di utilizzare materiali locali, come l´argilla che é dappertutto, o la pietra, o il granito, presente in abbondanza nelle montagne poco distanti.

La cosa che trovo piú interessante é che un´architettura e tecnologie “moderne” vengono combinate con tecniche del tutto tradizionali, é cosí?
Certamente, di volta in volta studiamo l´utilizzo piú adatto per ogni materiale, combinandoli tra loro. Ho scoperto, ad esempio, che mescolando il 8% di cemento all´argilla dei mattoni in argilla posso aumentarne sia la resistenza allo sfaldamento, sia quella a compressione. Come mescolando argilla con 30% di cemento e con sabbia e, ovviamente, acqua ottengo un materiale di ottima resistenza. Come per la lamiera in acciaio corrugato del tetto, o i tondini di armatura che usiamo per le coperture, vengono prodotti dall´industria in una tale abbondanza che alla fine sono economici e popolari ovunque in Africa. Le barre che abbiamo usato sono da 16mm e, dato che nel villaggio non c´é corrente elettrica, le saldiamo con un saldatore alimentato da un generatore a benzina.

Ma lei ha realizzato queste coperture, magnifiche, completamente da autodidatta. Fino a che punto le é stata utile una formazione di tipo universitario?
Mi é servita senz´altro, prima andavo a suon di “prova/errore”, con lo studio ho finalmente capito come calcolare queste strutture, migliorandole. Credo anche che con le tecnologie la cosa principale sia non solo la capacitá di ideare ma soprattutto quella di saper coinvolgere altre persone. Una volta ideato un certo procedimento di costruzione, ne discuto con la gente, e lo mettiamo in pratica perfezionandolo di volta in volta.

Il suo percorso é abbastanza inusuale per una societá prevalentemente di carattere rurale ed agricolo, da cosa ha avuto inizio il suo interesse per l´architettura?
Come ci sono arrivato? Questa si che é una bella domanda! Quando avevo sette anni sono stato mandato da Gando, il mio villaggio natale, a Tenkodogo, a circa 20 chilometri di distanza, per frequentare le elementari, dato che a Gando di scuole non ce n´erano. Quello che dovevo prima e dopo scuola era lavorare molto duramente. Mi alzavo molto presto, prendevo l´acqua e ogni fine settimana continuavo a lavorare, principalmente trasportando materiali da costruzione, mattoni, sabbia e cosí via. Mi trovavo in cittá e questo significava fare 6 o 8 chilometri a piedi con i materiali a dorso di mulo. Scaricati i materiali si trattava di riparare la casa della famiglia dove vivevo, e anche questo era un lavoro molto duro. Per 6 anni ho lavorato trasportando pietra, mattoni, tagliandomi e pestandomi le dita, per riparare in continuazione un tetto di legno. Quando tornavo al villaggio, le piogge avevano distrutto tutto e bisognava ricominciare daccapo. Ho passato troppi anni della mia gioventú per non odiare tutto questo con tutte le mie forze. Ho sempre pensato di trovare un giorno il sistema per migliorarlo. In seguito, dopo aver preso il premio della Fondazione Aga Kahn ho avuto una borsa di studio biennale per studiare da falegname in Germania. Questo mi ha dato un´occasione per uscire dal Burkina Faso ed avere accesso ad un livello superiore di istruzione. Finiti i due anni sarei dovuto tornare in patria, ma in Burkina Faso di legname da lavorare praticamente non ce n´é. Per di piú, dopo essere stato in Germania le aspettative della mia famiglia chiaramente crescevano. Ho pertanto deciso di prendere una laurea in architettura. Questa é in breve la storia di come sono diventato un architetto: mi interessava costruire, di certo non mi interessava il diploma. In Burkina Faso nessuno mi avrebbe mai dato lavoro come “architetto”, dato che nessuno non ha la minima idea di cosa sia un architetto. Il bello é che ora, se chiedi ai bambini di Gando cosa vogliono fare da grandi, rispondono ?voglio fare Francis?. Nessuno sa cosa sia un architetto, mentre tutti adorano partecipare alla costruzione, al progetto, e ovviamente andare nelle scuole che hanno contribuito a costruire.

Francis Kéré Diébédo

Francis Kéré é nato in Burkina Faso nel 1965.

Nel 1990, grazie a una borsa di studio, si trasferisce a Berlino e nel 1995 si iscrive alla Facoltá di architettura della Technische Universit, dove si laurea nel 2004.

Nel 1998 costituisce l´associazione Schulbausteine Gando con lo scopo di raccogliere fondi per costruire una scuola primaria nel suo villaggio natale. Per la sua qualitá, la scuola elementare di Gando desta attenzione e riconoscimenti internazionali, tra cui l´Aga Kahn Award for Architecture nel 2004, il Zumtobel Award for sustainable architecture nel 2007 e il Global

Award nel 2009.

Tra i progetti in corso, l´Opera village Remdoogo a Laongo in Burkina Faso, il Training Center di Dapoang nel Togo e l´allestimento permanente del Museo della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Ginevra con Peter Zumthor.

www.kere-architecture.com

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