Il Padiglione del Brasile alla Biennale di Architettura di Venezia, curato da Gabriela de Matos e Paulo Tavares, con un gruppo eterogeneo di collaboratori, tra cui popolazioni indigene e tessitori della cultura quilombola (la cultura degli schiavi africani fuggiti tempo fa nell’entroterra brasiliano), presenta la terra come elemento simbolico e poetico ricorrente.
Lo stesso, interessante, progetto di allestimento è interamente realizzato in terra cruda: sotto forma di setti in pisé, che organizzano il percorso espositivo; stesa come uno strato di pavimentazione, accompagnando i visitatori; messo in risalto, come per la “terra nera degli indios”, un suolo altamente fertile, formato per origine antropica tra 500 e 2500 anni fa.
La mostra riflette sul passato, presente e futuro del Brasile, presentando un’immagine territoriale, architettonica e del patrimonio complessa, diversificata e pluralistica della formazione nazionale e della modernità in Brasile. Nelle parole dei curatori Gabriela de Matos e Paulo Tavares: «La nostra proposta inizia pensando al Brasile come terra. La terra come suolo, fertilizzante, suolo e territorio. Ma anche la Terra nel suo senso globale e cosmico, come pianeta e dimora comune di tutta la vita, umana e non umana. Terra come memoria, ma anche come futuro, guardando al passato e al patrimonio per ampliare il campo dell’architettura di fronte alle più urgenti problematiche urbane, territoriali e ambientali contemporanee».
La prima galleria del padiglione, Decolonizing the Canon, lancia una provocazione contro la narrativa secondo cui Brasilia sarebbe stata costruita nel bel mezzo del nulla, ignorando il passato e i continui, ma non invasivi, adattamenti del paesaggio ad opera delle popolazioni indigene e quilombola.
La seconda galleria, intitolata Places of Origin, Archaeologies of the Future, presenta progetti e pratiche socio-spaziali di conoscenza indigena e afro-brasiliana sulla terra e sul territorio, dimostrando che le terre indigene e quilombola sono i territori più preservati del Brasile e indicando un futuro in cui i termini di “decolonizzazione” e “decarbonizzazione” vanno di pari passo.
Le loro pratiche, tecnologie e costumi legati alla gestione e alla produzione del territorio, come altri modi di fare e comprendere l’architettura, sono situati sulla terra e portano con sé la conoscenza ancestrale per ridefinire il presente e immaginare un futuro, non solo per le comunità umane ma anche per l’ambiente di cui queste ultime sono parte.