Martha Schwartz, riallineare i valori

  • Covid-19 non è che una piccola dimostrazione della catastrofe che ci attende se non ci attiviamo per evitare la soglia IPCC di 1,5 gradi centigradi (entro il 2050)

Circa quattro anni fa, quando venni a conoscenza del modo in cui il permafrost si stava sciogliendo nella piattaforma continentale della Siberia orientale e di quanto fossero pericolosi i cicli di feedback del metano, smisi praticamente di fare progetti di architettura. Ero sconvolta. Da allora ho iniziato a studiare molto seriamente il cambiamento climatico.

Ero alla ricerca di soluzioni e trovai un’idea chiamata “solar geoengineering”, scoprendo peraltro che chi la studiava era un gruppo di scienziati di Harvard, praticamente dietro l’angolo di casa mia. Da allora ho avuto modo di frequentarli e di imparare molto da loro. Attualmente sto tenendo un corso di Geoengineering for Dummies – il che significa che gli studenti possono frequentare questo corso anche senza alcuna preparazione in fisica.

L’idea di fondo è che degli aerosol (solfati o carbonati di calcio) vengano depositati nella stratosfera in modo da rispedire nello spazio le radiazioni infrarosse provenienti dal sole, raffreddando così il pianeta. Non è una soluzione vera e propria, ma può contribuire a ridurre il riscaldamento globale, all’origine della maggior parte degli effetti più violenti dei cambiamenti climatici (l’Italia e gli altri Paesi dell’area del Mediterraneo diventeranno sempre più caldi, mentre il deserto del Sahara si estenderà verso nord). L’Europa può aspettarsi 100 milioni di rifugiati climatici dal Medio Oriente e dall’Africa entro il 2050. Saranno infatti i paesi del Sud del mondo che subiranno per primi gli effetti della siccità, mancanza di cibo e del calore estremo.

Il Covid-19 è un buon esempio di come siamo collegati sia gli uni agli altri che alla natura. La situazione che stiamo affrontando ci mette di fronte alla forza della natura ed è chiaro che l’umanità non ha conquistato del tutto questo pianeta, anche se abbiamo l’illusione di dominarlo. La pandemia ha messo in discussione la nostra relazione con la Terra e pertanto mette in primo piano il paesaggio come “valore” e come questo debba essere considerato una parte necessaria dell’ambiente costruito e non come un figlio acquisito dell’architettura.

La decarbonizzazione sarà la prossima economia globale se l’umanità si assumerà l’arduo compito di sottrarre i 1500 Gigaton di CO2 [un Gigaton è pari a un miliardo di tonnellate, NdT] presenti in atmosfera per raffreddare il pianeta in modo naturale. I principali ‘giacimenti’ in grado di assorbire anidride carbonica, come zone umide, torbiere, foreste, terreni, savane – in altre parole la Terra e ciò che cresce su di essa – devono essere rianimati. Abbiamo la tecnologia e la scienza, ma possiamo dire di avere la volontà per farlo?

Martha Schwartz Partners, Gifu Kitagata Gardens, Kitagata, Giappone, 2000. Questo progetto di corti è parte dell’esperimento ‘femminismo nel progetto dell’abitare’ che comprende anche quattro edifici per appartamenti progettati da Akiko Takahashi, Kazuyo Sejima, Christine Hawley e Elizabeth Diller (©Martha Schwartz Partners).

Grazie a Dio finalmente comprendiamo che la Terra ci offre benefici e gli scienziati e gli economisti stanno calcolando il valore monetario di quelli che vengono chiamati “ecologic benefits”. A pensarci è una follia che l’umanità arrivi al punto di ridurre la natura in questo stato prima di poterla considerare importante! Sarebbe terribile non essere abbastanza intelligenti per riuscire a intuirlo (ma l’intuizione, in un mondo dominato al maschile, viene vista come secondaria rispetto a una logica lineare).Il Covid-19 non è che una piccola dimostrazione della catastrofe che ci attende se non ci attiviamo per evitare la soglia IPCC di 1,5 gradi centigradi (entro il 2050).

È comunque demoralizzante che il Solar-Geoengineering – per la precisione Stratospheric Aerosol Injection – sia un modo per raffreddare la Terra e contenere l’innalzamento degli oceani per lasciarci il tempo di passare alle energie rinnovabili. Questa idea deve essere oggetto di ricerca ora, dobbiamo liberarci dei combustibili fossili il prima possibile per evitare catastrofi globali entro il 2050. Abbiamo a disposizione dieci anni per introdurre cambiamenti sistematici e dirigerci verso migliori pratiche agricole come l’agricoltura rigenerativa. Abbiamo la scienza, ma non abbiamo la volontà politica o sociale.

Se solo potessimo imparare da questa situazione e non tornare al “business as usual”.

Martha Schwartz

ph. ©Paul Weaver

Martha Schwartz è architetto paesaggista, urbanista, artista e attivista nel campo dei cambiamenti climatici. Il suo lavoro e la sua attività di insegnamento si concentrano sul paesaggio urbano degli spazi pubblici e sulla sua importanza nel rendere le città “climaticamente preparate”. In qualità di fondatrice e senior partner di Martha Schwartz Partners, ha realizzato progetti in tutto il mondo, da installazioni artistiche site specific a spazi pubblici e parchi.
Martha ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, è professore ordinario di architettura del paesaggio presso la Graduate School of Design dell’Università di Harvard ed è membro del gruppo di lavoro GSD Climate Change.
Schwartz crede che l’architettura del paesaggio sia l’ambito professionale chiave per affrontare la sfida del cambiamento climatico. È membro fondatore del Gruppo di Lavoro sulle Città Sostenibili presso l’Harvard University Center for the Environment.
Il suo lavoro è stato ampiamente pubblicato ed esposto a mostre, tra queste presso il Museum of Modern Art di New York e la Royal Academy of Arts di Londra.

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