Curata da Chiara Alessi e Marco Manzini, la mostra “Progetti per servire” che la Fondazione Achille Castiglioni mette in scena nei suoi spazi di Piazza Castello 27 per la Design Week è un racconto degli allestimenti per la ristorazione progettati tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta dai fratelli Castiglioni.
Nei sette progetti presentati ogni dettaglio della cuisine à manger è pensato come una macchina efficiente, o un marchingegno ingegnosissimo, per servire il cliente, servire lo spazio, servire chi serve.
«Il lavoro sulla ristorazione – spiega Chiara Alessi – è probabilmente quello in cui si riesce a intuire meglio il contributo integrato dei fratelli Castiglioni: un intervento che va dagli spazi agli arredi piccoli e grandi, dalla cura dell’immagine a quella dei flussi del personale, dagli impianti di climatizzazione all’illuminazione, dai pittogrammi dei servizi igienici ai posacenere. Servendo, appunto, tutti i dettami: quello dello spazio e di chi ci lavora, quello della committenza e del pubblico, quello dell’immagine che si vuole comunicare e naturalmente, della funzione che si deve rispettare».
E trova un atterraggio in molti progetti disegnati su misura per risolvere le domande di un locale e poi entrati in produzione per le fabbriche del design italiano: lo spillatore per la birra Spinamatic prodotto da Poretti, la lampada Splugen, poi prodotta da Flos (sponsor tecnico della mostra); due elementi della serie “I servi”, prodotti prima da Flos e poi da Zanotta; lo sgabello “Spluga” poi prodotto da Zanotta; e i bicchieri e l’apribottiglia poi prodotti da Alessi, tutti oggetti realizzati per la birreria tavola calda Splügen Bräu di corso Europa; mentre lo specchio, poi prodotto da Kartell, e la sedia Castiglietta, poi Zanotta, erano stati disegnati, insieme a tavoli e carrelli, per il ristorante Da Lino Buriassi di via Lecco.
Per la prima volta la mostra mette in scena allestimenti pensati per durare ma che non esistono più, dando al pubblico la possibilità di calarsi nell’atmosfera, i gesti e le modalità di consumo di quegli anni e sperimentare le soluzioni spaziali immaginate dagli architetti milanesi, muovendosi tra l’effimero e l’ironico, tra l’osservazione e l’azione progettuale.
Costellano l’allestimento di Marco Marzini i commenti degli avventori dello Splügen Bräu, stralci delle lezioni di Achille Castiglioni e le parole della moglie Irma: «La tavola non come una fiaba o racconto natalizio per il gaudio dei nipotini, né come museo e tantomeno come ostentazione di ricchezza, ma come memoria delle tradizioni personali e conoscenza delle proprie radici in quanto la radice ha la possibilità di continuo sviluppo, sia coerente che imprevedibile, col gioco a sorpresa dell’innesto bizzarro».