Modernità e grattacieli, è questo l’unico binomio possibile? La riflessione che emerge da Milano Verticale, il nuovo volume pubblicato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano (in vendita online dal 28 luglio sul sito di Fondazione) è sul tipo di città che lo sviluppo in altezza comporta.
Milano Verticale è l’ottava uscita della collana “Itinerari di architettura milanese”, diretta da Maurizio Carones, e muove da un percorso già realizzato dalla Fondazione degli Architetti di Milano diversi anni fa.
All’interno un saggio di Fulvio Irace, architetto e accademico, e un dialogo con il progettista svizzero Jacques Herzog, che con il progetto per la Fondazione Feltrinelli di via Pasubio recentemente ha avuto modo di approfondire il carattere e la vitalità del tessuto urbano milanese.
«I primi edifici storici nascono con una relazione forte con il contesto urbano, perché molti sono stati costruiti nell’immediato dopoguerra, il tempo della ricostruzione, con il desiderio di riscatto di una Milano alla rincorsa del mondo. Partendo dall’itinerario iniziale – spiega Simona Galateo, curatrice del volume – abbiamo aggiunto le realizzazioni più contemporanee, interpretando l’edificio alto come dispositivo urbano, una sorta di strumento che permette di concentrare le volumetrie, avere più spazio aperto e meno consumo di suolo. Questo è il tema».
Il saggio di Iraceintroduce criticamente la progressione storica della verticalità di Milano dai primi accenni di edifici alti, sottolineando l’approccioa un impianto saldato al tessuto urbano, sino a quelli contemporanei.
Numerose le schede descrittive, come quella di Federico Ferrari che illustra la prima stagione di edifici alti milanesi. Cinque schede successive, di Stefano Andrea Poli e ancora di Federico Ferrari, descrivono architetture rappresentative di differenti modi di pensare all’edificio alto e in qualche modo ‘iconiche’: il Grattacielo Pirelli, la Torre Velasca, l’edificio di Piero Bottoni in corso Sempione, la Torre Breda di Luigi Mattioni e la Torre al parco Sempione di Vico Magistretti.
Una scheda conclusiva di Simona Galateo raccoglie gli edifici alti dei primi due decenni di questo secolo, in una complessiva lettura delle trasformazioni urbane che li hanno determinati.
Nell’interessante conversazione fraCarles Muro e Jacques Herzogsi discute del grattacielo come come strumento di progettazione urbana, strettamente legato al tema della densità.
«Le torri di New York si trovano su una specie di terreno fertile, dove il centro è connotato da un parco gigantesco. Per questa ragione – dice Herzog – Manhattan è per me la prova vivente di come i grattacieli possano ancora essere motivo di successo della città contemporanea, uno strumento efficiente che offre incredibili possibilità. Dobbiamo essere consapevoli però dl modo con cui gli edifici alti toccano il suolo e ciò che generano al livello della strada: sono accessibili o creano una sorta di isolamento? Se le verticali non consentono alle persone di utilizzare i piani terra, dove è possibile inserire funzioni diverse per i cittadini, se non si realizzano spazi pubblici accessibili dove le persone possano incontrarsi, allora la densità è solo una cinica estrazione di profitto priva di senso.
Noi architetti – prosegue il progettista – abbiamo il dovere di pensare alla vita degli edifici nel lungo periodo, attribuendo a ciascuno di essi un potenziale di trasformazione nel corso del loro ciclo di vita».
Le 96 pagine del volume sono illustrate da fotografie realizzate da Giovanna Silva. Un inserto grafico propone una lettura del profilo urbano milanese, una sorta di panorama significativo delle rappresentazioni di un certo pensiero urbano.
«Abbiamo pensato di evidenziare – scrive nell’introduzione Maurizio Carones – come il profilo di Milano, oggi spesso usato anche graficamente come linea caratterizzante, abbia subito una profonda trasformazione negli ultimi decenni, tanto da diventare un elemento di identità della città, al di là dei singoli edifici alti».