La mostra Scritture dall’Himalaya, dal 28 aprile al 12 maggio alla Galleria In’Ei di Venezia, completa il percorso intorno all’opera del fotografo e artista cinese naturalizzato francese Gao Bo (1964) che con i suoi ritratti fotografici realizzati nel corso di decenni di viaggi ha avvicinato il Tibet a una dimensione universale.
Il ritratto è per l’artista un modo per arrivare al cuore del Tibet che tuttora rappresenta il fulcro del suo lavoro: volti solitari che indossano maschere contemporanee per proteggersi dall’inquinamento e dal freddo, in dialogo con antiche maschere scolpite nel legno o osso, tradizionali della cultura tibetana.
Le fotografie, realizzate da Gao Bo tra il 1995 e il 2003, ritraggono, in nessun ordine, amici o sconosciuti incontrati per caso, uniti da un destino comune.
Le parole, scritte direttamente sul negativo, che accompagnano questi volti e i titoli evocativi delle stampe – Heretique, Inverifiable, Redonde, Pas Autre, Rugir…– ne sottolineano l’unicità, come persone e come immagini, in un modus operandi a cavallo tra due culture, in cui il sentimento del tempo di matrice asiatica si mescola a un linguaggio artistico europeo.
«Le scritture che si sovrappongono ai ritratti non appartengono a nessun idioma conosciuto perché, come sostiene Gao Bo, “non c’è una lingua che non sia pericolosa” – scrive il curatore Pietro Gaglianò. Da questa riflessione è scaturita la creazione di una lingua di grafemi, fatta di caratteri latini, cinesi e tibetani, che diventa il luogo di una lettura libera, che non riverbera abusi né sopraffazioni».
La mostra offre l’opportunità di conoscere anche in Italia un artista dalla lunga carriera internazionale e che in Francia ha collaborato con grandi nomi come Christian Caujolle, Jean-Luc Monterosso, Alain Fleischer, che nel 1989 ha vinto il premio L’oeil d’Or al festival di fotogiornalismo Visa a Perpignan e il cui lavoro è stato esposto in una personale al Musée Européen de la Photographie a Parigi.