Un nuovo modo di intendere il restauro

  • “Prigionieri del passato si diventa per la perdita, non per il culto della memoria”

Al valore della conservazione della memoria della storia di Cuneo è ispirata l’idea di Gianni Arnaudo e Benedetto Camerana per la rigenerazione dell’Ex Frigorifero Militare della città.

Del manufatto, il progetto – che ha ricevuto una menzione speciale al concorso promosso da Fondazione CRC in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Cuneo – coglie l’aspetto fortemente evocativo di un momento in cui la città aveva perso la cinta muraria ma conservava una presenza militare importante, tanto da giustificare un “Quartiere” vicino al complesso architettonico della Chiesa e del Convento di San Francesco.
La storia di Cuneo, sia remota, sia recente, è connotata dalla capacità di resistere, che per l’Italia ha ora una valenza ancora più profonda.

 

La localizzazione dell’intervento, nel centro di Cuneo (courtesy Gianni Arnaudo e Benedetto Camerana)

Dalla volontà di valorizzare visivamente l’impronta del passato nasce l’idea di recuperare tutta la originale struttura perimetrale dell’edificio, mantenendo le riquadrature e le finestre lunettate, non con una tradizionale finalità conservativa, ma con l’intento di comunicare, attraverso un nuovo concetto di restauro, l’importanza di percepire il trascorrere del tempo come esperienza di superamento dei momenti di crisi, che sono anche positivi elementi di evoluzione.

Le lesioni nei muri perimetrali dell’edificio non rappresentano quindi solo tracce del tempo e dell’abbandono, ma sono assunte a testimonianza di un valore sociale e culturale sulle quali i progettisti hanno applicato la tecnica giapponese del Kintsugi.

Il Kintsugi non è solo recupero di un oggetto, ma è metafora di come dalla cura di una ferita possa nascere una forma espressiva ancora più preziosa dell’essere precedente. L’uso dell’oro per riparare i cocci di ceramica non è decorativo, ma completamento ed evidenza della metafora.

Come “cicatrici” vengono quindi trattate le lesioni delle pareti perimetrali sopravvissute dell’edificio, sottolineate in bronzo effetto oro, a memoria dell’esperienza collettiva di resistenza e di resilienza, con effetti luminosi corrispondenti, previsti a pavimento, per accentuarne il prezioso riflesso nella notte.

 

Per rendere evidente il dialogo tra la parte originale conservata dell’edificio e il nuovo costruito, il progetto prevede un intervento all’interno del perimetro, percepibile come volume “ghiacciato” totalmente trasparente, che emerge dall’involucro dell’antico impianto murario e riflette il cielo e il vicino complesso gotico di San Francesco: l’intento non è quello di creare un effetto “ghost” o semplicemente finalizzato a donare immateriale luminosità al nuovo, ma quello di evocare, con lo “sguardo zoom” tipico del Pop, la funzione originaria della costruzione.

Questo nuovo corpo vetrato si insinua nella muratura esistente aprendo uno spacco traslucido e scenografico, che segnala l’accesso principale e corrisponde internamente all’atrio.

Sezione del progetto (courtesy Gianni Arnaudo e Benedetto Camerana)

Recuperare luci e ombre della memoria secondo i progettisti significa anche testimoniare e valorizzare il lungo periodo di abbandono, durante il quale la natura ha fatto la sua parte con un’invasione di essenze arboree presenti all’interno della costruzione, alcune delle quali hanno ormai raggiunto dimensioni rilevanti: di esse una, nel cortile della costruzione, viene conservata come metafora della trasformazione.
L’albero, vivente scultura, separata e annullata è reso visibile anche dall’esterno attraverso la “lesione”, lo “spacco” nella muratura che costituisce l’accesso principale e diviene quindi un ulteriore simbolo del progetto di recupero architettonico, evocando il fondamentale valore del rispetto per l’ambiente naturale.

L’ingresso dell’edificio avviene dalla spaccatura vetrata contornata d’oro con accesso ad un ampio atrio che presenterà una scenografica scala elicoidale.

La manica più lunga è caratterizzata da un grande spazio a tutta altezza, reso a geometria variabile e adattabile sia ad esposizioni e mostre d’arte, sia ad eventi, laboratori e convegni tramite pareti mobili posizionabili con un carroponte a soffitto e pedane a pistone incassate nel pavimento.
Bianco il colore dominante, come richiamo all’uso passato del fabbricato.

Render dell’interno, con la scenografica scala elicoidale dell’atrio di ingresso (courtesy Gianni Arnaudo e Benedetto Camerana).

Con il restauro normalmente si privilegiano gli eventuali pregi della costruzione o la sua valenza storica: in questo caso i progettisti hanno dato vita a una nuova idea, concependo l’intervento come progetto critico e cioè non connotato da forma o funzione, ma dalla traduzione figurativa di fasi di riflessione più ampie e profonde, attuali e universali.

 

 

 

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