Building Architecture Culture, titolo del Padiglione Albania curato da Anneke Abhelakh per la 19. Esposizione Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, è una riflessione stratificata sull’identità albanese, sulla sua storia recente e sul ruolo attuale dell’architettura come agente culturale e politico.
Collocato all’Arsenale, il padiglione propone un’esperienza articolata in tre momenti – passato, presente e futuro – che insieme compongono una narrazione potente sul paesaggio costruito dell’Albania e sulle sue trasformazioni.

Il cuore della mostra è l’indagine che utilizza due simboli urbani di Tirana – Piazza Skanderbeg (in apertura) e la Piramide – come dispositivi narrativi.
Cento immagini ne illustrano la metamorfosi nel corso di un secolo: dalla monumentalizzazione totalitaria alla riappropriazione democratica, dal controllo spaziale al coinvolgimento civico.
In particolare, il restyling della piazza da parte dello studio 51N4E nel 2017 è interpretato come un gesto urbano di apertura e decentramento, specchio delle aspirazioni europee del Paese.
La Piramide, invece, è il simbolo della contraddizione e della possibilità: costruita in onore di Enver Hoxha, oggi è un centro per giovani e tecnologia, grazie al progetto trasformativo firmato MVRDV. Un esempio concreto di riuso adattivo che non cancella, ma rielabora la memoria.

Il presente è incarnato dal film The Albanian Calls, un video-saggio costruito con oltre 50 interviste a professionisti internazionali attivi in Albania.
Girato durante la preparazione del libro The Albanian Files, il film diventa un forum critico sul ruolo dell’architetto straniero in un Paese dove la professione è in costante ridefinizione.
Le interviste sono montate come una lunga conversazione Zoom, intercalata da filmati d’archivio che raccontano il passaggio dal turismo ideologico degli anni Settanta alla disillusione del 1991.

Il discorso tocca corde ideologiche e operative: in Albania, dove l’espansione urbana post-socialista è avvenuta in modo caotico, l’architetto è chiamato a conciliare la creatività con la responsabilità collettiva, in un equilibrio ancora in cerca di definizione.
Lo sguardo al futuro si concretizza in una serie di visori stereoscopici che presentano 56 studi di architettura – da Álvaro Siza a Studio Gang, da OMA a Lina Ghotmeh – impegnati in progetti nel territorio albanese. Le immagini, estratte dal progetto editoriale The Albanian Files, testimoniano l’intensità di una scena architettonica in fermento, sempre più contaminata da pratiche internazionali ma radicata in un contesto politico-geografico unico.
Il Public program, sviluppato con Koozarch, espande il padiglione nello spazio digitale con podcast tematici che mettono in dialogo architetti, storici e teorici come Freek Persyn, Lea Ypi ed Elisabetta Terragni.